domenica 12 febbraio 2012

Lettera di un embrione

Non ho ancora guardato la luce che già mi volete uccidere. Non ho sentito i rumori, non ho assaporato il dolore del freddo, le lacrime salate del pianto. Non ho visto un sorriso schiudersi davanti a me, non ho ancora annusato l’aria, non ho roteato gli occhi, non ho abbracciato ancora niente e nessuno. Non ho vomitato, non ho mosso le braccia nel vuoto freddo fuori da questa caverna, non ho ancora ingoiato ossigeno. E già mi volete uccidere.
Non conosco il mio destino, nessuno è destinato a saperlo, figuriamoci noi, embrioni. Nessuno può dire cosa diventerò, cosa mi aspetterà una volta fuori. Nessuno ha la certezza dalla sua parte.
So di non valere molto in questo stato. Vorrei avere la possibilità di esprimermi senza essere considerato natura morta, un pezzo di carne che sarà cadavere ancora prima di nascere. Non mi interessano i discorsi dei puristi, degli ultracattolici o dei laici, dei monsignori o dei papi. Non mi interessano le leggi, i decreti, i dibattiti in aule che non conoscerò mai.
A chi mi dice che sarò menomato vorrei rispondere di lasciarmi sorridere di fronte alla malattia. A chi mi dice che sarò malato a vita vorrei rispondere che mi basterebbe anche la luce artificiale di una lampada bianca su un letto per essere felice. A chi mi dice che morirò lo stesso vorrei rispondere che tutti dobbiamo morire. A chi mi dice che nessuno mi ha voluto vorrei dire che ho il diritto di scegliere il mio destino così come tutti.
Sento ad ogni attimo che passa che questa caverna puzza sempre più di morte. Non so se mi uccideranno o se qualcuno si prenderà la mia vita con qualche ferro. Non so se soffrirò, se durerà solo un attimo. Vorrei solo dire a chi mi ha donato la vita che li ringrazio. E prometto che, se mi faranno nascere, mi impegnerò a vivere alla grande, non facendo pentire nessuno.

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