venerdì 30 marzo 2012

Torce umane: Anatomia di un gesto estremo



Niente di nuovo oggi?”
“No, un altro arrosto!”
“Maschio o femmina?”
“Bho… “

Si dice che il primo sia stato un monaco della pagoda Xa Loi, a Saigon, nel 1963. Si bruciò vivo in segno di protesta contro la polizia, rea di aver ucciso 8 bonzi buddisti durante una sommossa. Da allora il fuoco ha avvolto corpi di centinaia e centinaia di persone, ogni anno. L’ultimo, ieri, a Bologna, di fronte all’ex sede di Equitalia; non riusciva a tenere i conti in regola col Fisco.

Le ragioni di gesti così estremi sono le più svariate: la disperazione si accumula nelle anime fino a divampare. Una latta piena di benzina (occorrono almeno 10 litri), un accendino o un pacchetto di fiammiferi e tanta, tanta volontà. Basta poco per bruciare. Non è un gesto silenzioso. È il modo più lampante di mostrare al mondo l’angoscia, oramai regina del proprio corpo. È un segno di protesta. È, forse, l’unica occasione per riappacificarsi con se stessi. Le torce umane raggiungono il limite, lo oltrepassano, in nome di un’idea, di un sogno, di una caduta. Le torce umane diventano il record abbattuto di fronte all’umanità. Illuminano il mondo, senza invocare pietà, ma cercando giustizia.

Non è vero che la vittima rimane asfissiata e non sente dolore. Non esiste volontà al mondo che ti faccia rimanere fermo mentre bruci. Il corpo si dilata in frammenti liquidi, comincia a trasformarsi in un tronco annerito. La bocca si diverge in una smorfia permanente, gli occhi escono fuori dalle orbite. E poi arriva il ridicolo. L’estintore. La schiuma bianca che supera il confine del rispetto di fronte alla Morte per coprirla di grottesco.

Provo rispetto per un uomo che si bagna di benzina e poi accende un fiammifero e si dà fuoco, un uomo che si lascia bruciare senza un grido e senza un pentimento, un uomo che fa questo per motivi ideali e non per scontenti personali. Ecco: a mio parere quell’uomo è un eroe. E lo è quanto un vietcong, un soldato in trincea. Oriana Fallaci

Non c’è cosa peggiore per chi brucia di restare solo. I governi tendono a nasconderli, i giornali si guardano bene dal pubblicizzarli. E se per Oriana Fallaci gli scontenti personali non permettono di diventare eroi non c’è da preoccuparsi. L’angoscia, quando sale, brucia. Per tutti.

Raffaele Nappi


giovedì 29 marzo 2012

Deragliamento N°1



Gli occhi sono appannati. Ho bevuto vino rosso. Il rosso è il colore del cielo alla sera. La sera mi piace, ma la notte è ancora più bella. Di notte ci sono gli assassini. Ora c’è un assassino seduto proprio davanti a me. Mi dà le spalle. Le sue spalle sono curve. Ha una maglietta azzurra. Esatto. Mi è sempre piaciuta questa parola, ma non l’ho mai usata. Mi piacerebbe usarla. Usare è sinonimo di utilizzare. Ma sono 2 parole brutte. La bruttezza mi spaventa e mi incuriosisce allo stesso tempo. Aspettate, mi è venuto in mente che devo essere in orario, con i tempi, con la vita. Ma io voglio essere un orologio rotto. L’orario mi mette pressione. Non posso guardare le lancette. Meglio gli orologi digitali. Quelli non ti ricordano che il tempo scorre. Sono solo numeri. I numeri. Quando penso ai numeri mi saltano alla mente i pastori che segnavano sulle bacchette le linee per ogni pecora. Per le pecore smarrite no. Che povertà le pecore smarrite. E poi chissà dove sarà stata mai. Forse avrà visto l’orizzonte e quello che c’è dopo. Forse al di là dell’orizzonte c’è il paradiso. E forse ci fanno casino. Chi ha detto che in paradiso non possono fare casino? Forse è fatto da una discoteca. E i morti ballano… Per l’Eternità.



Raffaele

mercoledì 28 marzo 2012

Fiaba?



In un piccolo paese del Perù viveva una famiglia di contadini. Lavoravano tutti, padre madre e figli. Pan, era la più piccola. La gente del posto non aveva mai visto una bellezza così forte, quasi pericolosa.
Lavoravano dalla mattina alla sera, senza un attimo di sosta. Con quello che guadagnavano a stento riuscivano a vedere le stagioni passare. Un timido giornalista passò di lì insieme alla sua troupe, avido di storie da raccontare all’altra parte del mondo. Il ragazzo aveva studiato anni e anni sui libri dell’università, ma sul campo aveva qualche problema a rapportarsi con gli altri. Semplicemente balbettava. Si avvicinava con timore all’intervistato e gli poneva con riverenza le sue scrupolose domande, pronto a registrarle immediatamente sul suo taccuino e nella sua mente.

Quando vide la famiglia il ragazzo rimase ancor più imbalsamato. Era immobile, quasi sembrava scemo. Erano gli altri, adesso, a porre le domande a lui. si ritrovò adagiato su un letto di paglia, guardando il soffitto di una lurida stanza. Si alzò di scatto, tremante. Aveva perso la sua troupe, non ricordava dove fosse il taccuino con il registratore. Era completamente spaesato in un paese senza confini. Cominciò a guardarsi intorno. Il pavimento era quasi nero; sembrava il piano di una stalla. Le pareti erano graffiate in più punti, la finestra quasi penzolava. Sì alzò in cerca di qualche figura umana. Cercò una porta dove trovare rifugio al suo batticuore. E lì, dietro quel solco, vide, per la seconda volta nella stessa giornata, l’elemento che gli cambiò la vita.

Una figura snella, quasi eterea. La sua pelle scura rimbombava maledettamente bene contro il panno giallo che le drappeggiava il corpo. Lo sguardo, fermo e orgoglioso, rivelava la fierezza di una bestia. I capelli scuri le macchiavano il capo, come una cascata di acqua limpida sulla pietra levigata. Il cuore di quel timido giornalista esplose in mille e mille battiti, improvvisi e inseparabili. Inarrestabili. Quel piccolo ragazzo partito per girare il mondo, per scappare alla ricerca di una verità che era solo in fondo a se stesso, si innamorò. Successe tutto all’istante, senza un destino ad architettare le carte, senza un preavviso opportuno. Il cuore non resse. Galoppava senza sosta verso l’ostacolo, e lo superava ad ogni momento, ad ogni salto. Il battito sussultava in un moto accelerato perpetuo, insaziabilmente affamato. Cadde a terra, privo di sensi. Si bloccò all’istante, ingozzato di vita, quel cuore. Rimase tremante per un grappolo di attimi in quel corpo scosso sul pavimento. Poi, con un ultimo fremito, si spense per sempre. Rimase contrito in una morsa strana, avviluppato su se stesso.

Il corpo del giornalista timido fu sepolto nel campo di quella povera famiglia. Al momento della sepoltura una belva dallo sguardo nero, coperta da un drappo giallo, piangeva silenziosamente. Forse anche lei aveva voglia di innamorarsi.

Raffaele Nappi

martedì 27 marzo 2012

Parole inutili


C’è un momento in cui odio le parole. Parole sputate al vento scoccate da una lingua malvagia, parole superflue come l’acqua in una bolla che scoppia, parole che pesano sull’aria rendendola densa e rarefatta. Ci sono momenti in cui le parole diventano sassi difficili da digerire, non perché dicono la verità ma perché rimbombano nelle stanze ancora vuote, e ancora, e ancora. Queste parole non si fermano, non si vogliono fermare. Mi hanno stancato il cervello a furia di dar loro ascolto. Sto per alzarmi per fare qualcosa; vorrei spegnerle, vorrei abbassare il loro volume. Vorrei cancellare le parole, sì, sono cosciente. A volte vorrei cancellare le parole. È una questione di rispetto. Bisogna rispettarle, le parole. C’è chi ci muore per le parole. C’è chi, ora, è sbattuto al buio col culo per terra in una cella che è una stalla. C’è chi ci ha vissuto con le parole. C’è chi le parole le ha messe insieme in un congegno quasi perfetto che è rimasto nella memoria anche di chi deve ancora nascere. C’è chi ha scolpito col martello le parole sul cuore della storia. C’è chi ha ucciso, con le parole. Per questo quando usate le parole non fatelo a caso. O almeno, ditemelo così mi allontano. Dovrò imparare i meccanismi per chiudere il cervello quando non è aria. O forse bisogna aprirlo. Perché se non sento l’altro cosa dice allora che vivo a fare?
R.

L'acido nell'anima


C’è lo specchio oscurato in bagno. Non capisco il motivo. Sono stata ricoverata d’urgenza 3 mesi fa, di notte. Lo ricordo ancora bene. Mio cugino è entrato nella mia stanza e mi ha colpito; io pensavo fosse un ladro. Mia madre urlava di chiamare un medico; anche le mie sorelline erano state colpite. Da quando sono arrivata in ospedale ho subito molte operazioni, ma i medici non si sbilanciano. Ora sono sul mio letto; la stanza è bianca, spoglia, c’è il minimo indispensabile per essere in ospedale.
Un giornalista italiano arriva per farmi delle domande; è l’ennesima volta che racconto la mia storia. Ma non sono stanca. Ripeto le stesse parole che dico a tutti da quando sono in ospedale: “Lo voglio morto, non aspetto altro. Non vedo l’ora che esca dal carcere per ucciderlo con le mie mani. Mio cugino deve morire, devo fargli provare sulla sua pelle quello che mi ha fatto.”
Il giornalista mi guarda con occhi strani, a metà tra la pietà e la disperazione. Poi si alza e se ne va, tornando al suo mondo ricco e smemorato. Io, intanto, mi guardo intorno. C’è silenzio in ospedale in questa domenica pomeriggio. I miei genitori non sono ancora arrivati. Mi alzo per andare in bagno. Il panno che copre lo specchio è caduto. Lo prendo e lo rimetto a posto.
Quello che guardo riflesso a pochi centimetri da me non è il mio volto. È il volto di un mostro. La pelle penzola da più parti, senza avere un coloro omogeneo. Diversi tratti del mio viso sono bruciati, neri, come campi minati. Gli occhi sono pupille perse tra quello che resta di una pelle abbrustolita. I capelli si adagiano a stento con questa poltiglia rosa e nera che si appende al cranio.
Mi guardo per un attimo. Poi, dopo aver capito che quel mostro sono io, svengo.

Dedicato a tutte le donne sfigurate nel mondo. Che il tempo possa lenire il dolore dell’anima, e che la vendetta abbandoni i progetti per il futuro.

Raffaele Nappi

lunedì 26 marzo 2012

Alba


Le nuvole sono ancora embrioni scuri che sguazzano nel cielo. Lì, lontano, un dio sembra aver acceso la luce; forse sarà stanco di dormire. Il silenzio è picchettato da acuti e timidi cinguettii notturni; anche gli uccelli si stufano della notte. La luce avanza, e sorprende le anime ancora in giro, spargendo stupore. Qualcuno viene, qualcuno va. Qualcuno bestemmia la luce di un nuovo giorno.
Nel mare, i pescatori confondono la propria rotta con l’orizzonte.
Gli scrittori, aggrappati al fumo delle loro sigarette, maledicono il tempo perso a scrivere; dovranno aspettare un’altra notte per continuare.
 I bambini, padroni del mondo, sognano le vite degli altri.
 L’artista piange solo sul suo divano; ora che è quasi giorno deve nascondere le sue lacrime davanti alla luce.
Un’anima stanca consuma parvenze di amore tra sedili sgangherati.
Un poeta perde l’ispirazione, o forse la trova.
 Un attore torna a casa, dopo la notte nel letto di altri.
Un operaio guarda l’orologio; è tempo di alzarsi.
Il Mondo ha un occhio stanco e l’altro appena sveglio.
Il gufo, fiero, torna a dormire.
 È la primavera, dolce e maledetta, dell’alba eterna.

Raffaele Nappi

domenica 25 marzo 2012

Le ricette dei MALaffamati: Salsa Tarocca


Salsa Tarocca
Taroccate la vostra salsa col tarocco. Perdonate il tristissimo gioco di parole (Taroccare-Arancia varietà Tarocco) e sappiate che quella che vi presento oggi è una salsa alle arance semplicissima, convenientissima e rapidissima.
No, non si tratta della Manna scesa dal cielo ma di una ricetta tratta da un libro di cucina napoletana che una cara amica mi ha sottoposto. Ovviamente l'utilizzo della frutta in piatti salati è per me talmente esaltante da dover tentare la ricetta che ho poi  rifatto con delle modifiche che l'hanno adattato al mio palato del “Nord” come direbbero tra il serio e il faceto i miei amici di Roma. Io ve le presento entrambe poi a voi la scelta che dipenderà anche dai piatti a cui l'abbinerete.
Ingredienti                                                                                                                        per 2 persone

Versione “Sud”
2 Arance
½ Scalogno
un filo d'Olio

Versione “Nord”
2 Arance
una piccola noce di Burro
Pepe q.b.

Procedimento
Versione “Sud” : In un pentolino verste un filo d'olio e fatevi ammorbidire lo scalogno a fette sottilissime. Quando imbiondisce aggiungete la spremuta ottenuta dalle due arance (quindi sia il succo che quel poco di polpa che può rimanere) e lasciate cuocere per circa dieci minuti, cioè fino a quando il succo non si rapprende.
Versione “Nord”: In un pentolino ponete la noce di burro e la spremuta di due arance (quindi sia il succo che quel poco di polpa che può rimanere) e lasciate cuocere per circa dieci minuti, cioè fino a quando il succo non si rapprende. Aggiustate di sapore aggiungendo una o due prese di pepe secondo i propri gusti.

Consiglio: Trovo questa salsa ideale per il condimento dei primi piatti in particolare della pasta fresca ripiena con farce dal sapore tenue come ad esempio dei ravioli agli spinaci.
Sappiate inoltre che raviolo agli spinaci con salsa d'arancia costituiscono un ottimo abbinamento nutrizionale dato che la frutta acida incrementa l'assorbimento del ferro contenuto negli spinaci.
Idealmente questa salsa accompagna bene anche piatti di carne e di verdure. Sperimentatela.
Costo
Come premesso per entrambe le versioni il costo è veramente minimo.
Costo: circa 1 euro/1,50 euro (per due persone).

Le Delizie di Francesca Piersanti

sabato 24 marzo 2012

Zettel: la filosofia arriva in tv

Con buona pace di Karl Popper e della sua cattiva maestra parte il progetto di Rai Scuola “Zettel”, novità assoluta nell’ambito televisivo italiano. Il programma si basa sull’idea di unire le questioni filosofiche fondamentali con le tecnologie multimediali a disposizione. La trasmissione è nata dall’idea di Maurizio Ferraris, docente di Filosofia Teoretica all’Università di Torino, con la collaborazione di Mario De Caro, professore di Filosofia Morale a Roma Tre. Da New York interverrà attivamente anche Achille Varzi, docente della Columbia University. Nei 30 minuti a disposizione si combineranno lezioni di filosofia - non di storia della filosofia – con commenti e confronti tra i filosofi ospiti in studio. Tanti i temi affrontati: dall’esistenza di Dio fino al concetto di Morte, dall’analisi del Sogno fino allo studio della Memoria. L’intento è di non sacrificare i ragionamenti al format televisivo. “La vera sfida è quella di mostrare – afferma De Caro – che la filosofia non solo non è morta, ma goda di ottima salute e può essere preziosa per decifrare le sfide dei nostri tempi.” Zettel va in onda ogni martedì sera e viene replicato ogni 4 ore a partire dalle 4 del mattino sul canale 146 del digitale terrestre e su Sky (canale 806) . E’ possibile seguire il programma anche su Rai 1, nella spazio notturno Rai Educational e sul sito web di Rai Filosofia (www.filosofia.rai.it) . Filosofia e tv, un binomio atipico tutto da scoprire.

Raffaele Nappi

Fonte “L’Avvenire”

venerdì 23 marzo 2012

Roma, servizio pubblico. Il sabato sera dell'ATAC.


Prendere un pullman dell'ATAC a Roma è impresa non da poco. Bisogna avere coraggio. Coraggio di lottare contro le astute vecchine imbranate, contro gli spericolati autisti al volante, contro gli altrettanti turisti spaesati. La situazione non è facile. Questo, ad esempio, è il classico servizio notturno del sabato. Orari sballati, pullman in condizioni luride. Fatevi avanti, romani coraggiosi: il servizio pubblico vi sta sfidando a duello!

Raffaele Nappi

giovedì 22 marzo 2012

Libertà!



Tuffarsi.

 Questo pensò.

Prendere il vuoto, sentirlo nello stomaco.

Nessuno gli aveva consigliato di farlo. Era solo.

Il tramonto gli colorava il volto. Il vento sferzava il cuore.

Il mare sotto di lui mugghiava il suo nome, lo stava aspettando.

Il vecchio pianse. Si tolse le scarpe, e per l’ultima volta baciò il sole.

Non guardò mai la distanza che lo separava dalla sua libertà. C’era silenzio.

Il piede avanzò verso il vuoto, fino a toccarlo. La forza dell’abisso lo trascinò nell’aria.

Il tramonto morì. Qualcuno da lontano vide cadere in acqua una pietra, stranamente lunga, viva.

In quello stesso istante un bambino chiese al padre dove vanno a finire le vite. Un altro stava naufragando libero.


Raffaele Nappi


mercoledì 21 marzo 2012

Quello striscione all'Olimpico...

Sabato 17 Marzo 2012. Prepartita di Italia-Scozia, ultima gara ufficiale del Sei Nazioni. Lo Stadio Olimpico è pieno, esaurito in ogni ordine di posto. Ci sono caretelloni e tricolori in giro, le curve provano le coreografie, i cappellini tricolori si confondono sulle teste dei 73mila presenti.
Le squadre entrano in campo per il riscaldamento; i giocatori si guardano intorno, stupiti da un pubblico così numeroso. Ma c'è qualcosa di strano. Qualcuno comincia a girarsi verso la curva Nord. Qualche giocatore dà un'occhiata, poi ride. Il cameramen punta l'obiettivo verso l'oggetto misterioso. Qualche spettatore comincia a scendere le gradinate per assistere di persona. Nessuno sa ancora bene cosa sia successo. Ora la voce si spande anche in curva. C'è un brusio nervoso.
Ci vuole appena qualche secondo per svelare il mistero. E' tutta colpa di uno striscione. Non è offensivo, non è provocatorio, non è aggressivo, non è violento.


Nessuno sa chi lo ha scritto. Forse nessuno lo saprà mai. Resta, comunque, una gran bella figura per l'Italia, anzi, per l'Italiano.

martedì 20 marzo 2012

Anime ancora vive

C’è un giorno nella vita di ognuno in cui tutto finisce. Finiscono le sensazioni, finiscono gli affetti, finisce l’aria intorno. C’è un giorno in cui gli spiriti si pietrificano per diventare anime, intrappolate nel vento per sempre. Il corpo diventa solo un’armatura debole, un guscio soffice come una nuvola. Non resta che sognare l’anima libera, e sognarla col volto del corpo. Non so se esiste un’anima, forse non me lo sono mai chiesto. Penso che l’anima sia diversa dall’idea di umanità in cui la gente si rifugia. Molti dicono anima per giustificare i dolori, per dare senso alle assenze. Penso che l’anima, invece, sia fatta di ricordi, e ricordi nei ricordi. Le anime di ognuno di noi si nascondono nella memoria del tempo, e nei ricordi di chi c’è stato e c’è ancora. Penso che anche il mondo abbia un’anima, quella vera, quella che sa già tutto. E alla fine forse, tutto il mondo, risvegliandosi, si ricorderà di tutte le vite passate, in un’ondata di emozione che ucciderà di gioia quello che è stato e quello che sarà.

lunedì 19 marzo 2012

Quasi Amici



L’orizzonte visto dall’alto, le spalle larghe, larghissime. L’esempio, la saggezza, il primo amico, il primo nemico, i primi consigli. Le donne, i guai nascosti e quelli fatti assieme, i giochi in cui avevi tutto da imparare e quelli in cui ora lo batti facilmente. I giochi in cui hai ancora tutto da imparare. I consigli rimasti in silenzio, ma sempre lì, pronti a parlarti. Le scottature che ancora bruciano e il ricordo di quelle che ti hanno bruciato l’anima, prima di scoprire che erano solo fiammiferi di carta. I sorrisi inespressi, gli abbracci non dati, la confidenza presa senza chiedere il permesso. Le bugie. I giri in bici per la prima volta, impennandogli in faccia. I passaggi in giro per il mondo. Le preoccupazioni, gli infarti quasi ogni sabato sera. I ritorni con la musica a palla e lui sul balcone, il suo viso nel giorno della tua laurea, la faccia seria che nasconde un uomo fin troppo umile. Le urla, la voglia di non pensare a niente e tanto meno a lui, il senso di responsabilità ancora troppo piccolo per figli come noi. Le soddisfazioni sbattute in faccia, le delusioni davanti ai suoi occhi tristi ma fieri. I sogni alimentati dal denaro e dalla speranza. Le ore passate in un letto di una casa a 300 chilometri da te, da solo, per fartela spassare, tu e la tua stramaledetta voglia di fare l’università.

Quando parto da zero e mi sollevo so che ogni cosa la devo alle palle quadre di mio padre e al suo sudore, ai sogni a cui rinuncia a malincuore.

Raffaele

domenica 18 marzo 2012

Storie mai raccontate. La leggenda del principe e delle parole



Il principe assaggiò la terra prima di baciarla. Era fredda. Il vento cominciava a spifferare da lontano, lento, lento, quasi timido. Le foglie tra gli alberi descrivevano suoni sibillini e frastagliati dondolando ringhiosi e dolci allo stesso tempo. I soldati erano schierati, impantanati nel fango tra i piedi ancora immobili. Il principe esitava. I cavalli sbuffavano latrati ansiosi di battaglia, i zoccoli solcavano il terreno sempre nello stesso punto, sempre più profondamente. Il principe alzò gli occhi; il suo sguardo scrutò il luccichio dello schieramento che gli si piombava sull’orizzonte, calmo. Il suo volto non ebbe segni di alcuna emozione, bianco come un cadavere, roseo come un uovo. Le labbra impastavano parole decifrate dai pensieri, cercando ordine tra i significati. Tutti gli sguardi di tutti i soldati erano puntati su di lui, pesanti come macigni sulla sua coscienza. Lo schieramento di fronte all’orizzonte restava calmo. Cercavano di ascoltare le parole del principe prima di dare le dovute disposizioni. Il principe aveva addosso gli occhi del mondo. Le anime stavano a fatica tra le argentee armature dei soldati; volevano librarsi con la potenza di martelli sui corpi altrui, sfrecciare con le loro lame come la primavera sugli alberi. Il principe ascoltava il silenzio denso di sguardi. Mai il suo animo ebbe così tanta voglia di fuggire di fronte alle parole.
Il principe non parlò. Affrontò con lo sguardo gli sguardi altrui, poi, timido e vile, partì in sella al suo fiero cavallo senza più voltarsi indietro.
Qualche grappolo di secondo dopo, un principe morì, e così anche la guerra che durava da anni in quelle regioni. Lo schieramento del principe si arrese senza nemmeno combattere. Le parole non dette pesarono come macigni giganti sulle loro coscienze di guerrieri. Nessuno partì, nessuno seguì il principe nella sua folle corsa verso i nemici. Fu così che la pace esplose come il sole tra le nuvole, grazie a un principe timido, grazie, forse, alla sua paura del mondo, alla sua umanità tra i re purosangue,  grazie alle sue parole tenute nell’animo, nascoste per sempre all’ombra della storia.

Raffaele Nappi

Le ricette dei malaffamati : Peperoni alla romana


Peperoni alla romana
Volete stare sullo stomaco a qualcuno? Provate coi peperoni!
In realtà il peperone non è così indigesto come si dice, o meglio, la parte difficile da smaltire è la buccia quindi una volta spellati tutto è a posto.
Per questa ricetta il peperone serve tutto intero ma se volete eliminare la buccia potete farlo a patto di lasciare intatta la struttura del mezzo peperone che farà da barchetta contenitore.


Ingredienti per 2 persone

2 Peperoni ( di colori diversi o secondo i gusti)
100 grammi di Olive Nere
una manciata di Capperi
100 grammi di Pangrattato
30 grammi di Parmigiano grattugiato
70 grammi Provola
Olio evo q.b.

Procedimento
Dividete a metà per la lunghezza i peperoni e puliteli dai filamenti interni e dai semi.
A parte spezzettate le olive e i capperi sciacquati, fate la provola a pezzetti e aggiungete il parmigiano. In un pentolino tostate il pangrattato con un po' d'olio e unite agli altri ingredienti.
Assaggiate il composto e aggiustate di sale e di pepe secondo i gusti.
Con il composto riempite i peperoni e mettete in forno caldo per almeno 30 minuti a 180 gradi su una teglia oleata.


Consiglio: Ricetta vuole che i peperoni alla romana siano da servire freddi, però se vi dovessero piacere più da caldi nessuno vi impedirà di consumarli così.
Infine le proporzioni tra gli ingredienti del ripieno potete modificarle a vantaggio del sapore che preferite, se ad esempio vi piace che si senta molto il parmigiano basta aggiungerne un po' di più o potete diminuire le dosi degli altri ingredienti.

Costo
Se il peperone lo comprate nella sua stagione il costo ovviamente sarà più basso ma se siete talmente autolesionisti da comprarne in pieno inverno il costo lievita.
Costo: circa 4,00 euro (per due persone).

LeDelizie di Francesca Piersanti

sabato 17 marzo 2012

Io sto con Libero!



http://tv.liberoquotidiano.it/video/105814/Freccero-minaccia-Libero-Fascisti-io-vi-rovino.html

Telefonata tra Carlo Freccero, direttore (si fa per dire) di Rai 4, e Francesco Borgonovo, giornalista di Libero.
            - Complimenti per il suo articolo di merda. Lei ha scritto un pezzo dei coglioni. Lei purtroppo non è un esperto di televisione, voi siete dei fascisti! Prendete ordini come la Lei dai cardinali pedofili. Me ne frego di lei e di quello che lei dice. Me la vedrò io con il vostro direttore del giornale!
            - Io ho fatto un pezzo da spettatore, non parlo né con la Chiesa né con la Rai.
            - Se mi dimetto chiedo a tutti di assalirvi, invado con i forconi il vostro giornale di merda! C’hò più spettatori io che voi. Lei è uno stronzo fascista! Lei fa chiudere Luttazzi, mettete fotografie di ragazze nude, siate laici, fate ridere, lei è un deficiente. È indegna questa cosa. Voi siete così. Volete far chiudere tutti. Volete solo dire cazzate in libertà
            - Guardi io non ho detto di chiudere un bel niente.
            - Impari qualcosa, legga qualche libro!
            - Un po’ libri io li leggo.
            - Lei è un asino. Vi giuro che mi vendicherò. Racconterò che cardinali pedofili mi fanno chiudere attraverso un giornalista.
            - Ma guardi che io non parlo che nessun cardinale, io ho scritto solo un pezzo da spettatore.
            - Imparate dalla tv americana. Non fare il moralista. Non si può fare solo Don Matteo. Sarà sangue e sangue scorrerà.
Non mi è mai stato simpatico Maurizio Belpietro, né tutto quello che pensa. Devo ammettere però che ha una capacità innata di fare giornalismo. È un uomo che sa stare nel giro, e anche bene. Sa come vanno le cose, sa come creare scandali, sa come far parlare di sé e del suo giornale. Carlo Freccero, direttore di Rai 4, rappresenta tutto quello che esprime il servizio pubblico in Italia. Ostracismo, incapacità al dialogo, presunzione assoluta, insolenza, chiusura bigotta mentale, puro sentimento di vendetta. Freccero mi è sembrato tanto un politico che non vuole lasciare il culo dalla sua poltrona, troppo grasso ormai per alzarsi. Freccero dovrebbe dimettersi, non per un gesto di correttezza, ma per tornare a scuola ed imparare il concetto di libertà d’espressione. Qualcuno ci è morto per questo.
Raffaele Nappi


venerdì 16 marzo 2012

La strage di Firenze


È notte. 27 maggio 1993. A Firenze qualche vecchio dorme, pensando già alle calure dell’estate in arrivo. I giovani stanno tornando nelle loro case, qualcuno è già rientrato, qualcuno farà mattina. I monumenti troneggiano nell’oscurità, silenziosi e superbi. C’è pace tra i vicoli, il fiume scorre imperante, le stelle dormono. La Torre dei Pulci si erge tra Gli Uffizi e l’Arno. Ospita la storica sede dell’Accademia dei Georgofili. I 12mila documenti manoscritti sonnecchiano tra i cassetti. I 70mila volumi sognano tra gli scaffali della biblioteca.
La Fiat Fiorino è parcheggiata proprio sotto l’Accademia. È imbottita di esplosivo. Quando le lancette scoccano l’1 e 4 minuti un boato scuote la tranquilla notte fiorentina. Un tuono? No, c’è sereno. Uno scoppio accidentale? Forse, bisogna indagare. Un attentato? Forza, corriamo.
La via è quasi totalmente distrutta. I palazzi sono smembrati. Le macerie si raggruppano a grappoli. È notte a Firenze, ma non è un brutto sogno. I vetri esplodono, i musei vicini sono sfiancati. La città si sveglia, con gli occhi sbarrati. 48 persone sono ferite, 5 perdono la vita. Prima dello scoppio, o forse durante, o forse appena qualche millesimo dopo, Angela Fiume, 36 anni, abbraccia i suoi figli. La strage è stata assegnata ai gruppi terroristici legati a Cosa Nostra. Oggi, a distanza di 19 anni, quella mamma è ancora legata in un abbraccio profondo di vita alle sue due figlie.
Raffaele Nappi

giovedì 15 marzo 2012

Il premio all'ipocrisia del mondo. Una foto deprimente


Ugo Gussalli Beretta, Presidente di Beretta Holding, ha ricevuto in Quirinale il Premio Leonardo Qualità 2011 dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, alla presenza del Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, del Vice Presidente di Confindustria Diana Bracco e della Presidente del Comitato Leonardo Luisa Todini.

Fabbrica d’Armi Pietro Beretta ha ottenuto il
Premio Leonardo Qualità Italia 2011, in quanto realtà capace di distinguersi nell’anno appena trascorso per qualità e vocazione all’export, concorrendo in modo significativo ad affermare e promuovere l’immagine dell’Italia nel mondo grazie a importanti successi registrati sui mercati internazionali.

Ricevendo il prestigioso premio dalle mani del Presidente Napolitano Ugo Gussalli Beretta ha commentato:
“È per noi motivo di grande orgoglio ricevere un premio di assoluto prestigio che attesta il valore del nostro lavoro e delle nostre competenze come ambasciatori del made in Italy di qualità nel mondo. Ricevere questo premio è anche un’importante stimolo a continuare nel nostro lavoro, a sviluppare sempre le più innovative tecnologie nel pieno rispetto della nostra storica tradizione manifatturiera. Sono questi i veri punti di forza, uniti al valore delle persone che ogni giorno sono artefici del successo di Beretta, che ci permettono di affermare e consolidare l’immagine del nostro Paese nel mondo attraverso il nostro operato”.

Non sono populista, ma semplicemente afflitto di fronte a questa foto. La mia filosofia di vita è diversa.

Raffaele

mercoledì 14 marzo 2012

Gli errori di Roberto Saviano

Non mi hai stupito. Come spesso accade quando le aspettative sono troppo alte c’è il rischio di rimanere delusi. Non sono deluso, ma nemmeno felice. Sei entrato con la tua solita camminata, cadenzata di gioventù persa. Hai salutato, con agitazione. Mi ha colpito la tua agitazione. Non mi aspettavo di vederti così. Gli occhi all’inizio erano inquieti, le mani non sapevano che giri descrivere nell’aria. I discorsi impappinati nella lingua. Hai risposto con lentezza a tutte le domande, sciocche, che ti sono state imboccate dalle maestre. Hai dosato male il tempo. Non hai coinvolto il pubblico, anzi, penso che l’orario ti abbia salvato da una siesta generale nel profondo della platea. Sei andato spesso fuori tema, non hai saputo raccontare le storie come fai in altre occasioni. Sei stato poco coinvolgente, anzi quasi nullo. Hai perso spesso il filo del discorso, senza cercare di ritrovarlo. Non hai aggiunto niente a quello che già si sapeva. Hai intrappolato i tuoi brevi racconti in divagazioni che servivano solo  a confonderci. Hai fatto tardi. Non hai alzato la voce quasi mai. Non ti ho mai applaudito durante il tuo intervento. Solo all’inizio, e nemmeno alla fine. Sei arrivato protetto da miliardi di uomini in nero che non avevano nulla di meglio da fare che controllare ragazzi fin nelle mutande. Sembravi una star. Uno scrittore non è una star, e non si comporta così. Ti sei lamentato della tua vita. Ancora, e ancora, e ancora.
Sei andato via, o forse sei scappato, non lo saprò mai. Ma ho scoperto, invece, che tu sei un ragazzo timido e imperfetto, che hai punti deboli, che sbagli. Sei sceso finalmente dall’impalcatura dell’immaginario dell’adulazione. Sei entrato nella normalità. Ed è per questo che ti stimo. È per questo che ti ho stretto la mano. Da oggi sarai una persona normale, semplicemente normale. E proprio per questo ancor più straordinario.
A Roberto Saviano
13 Marzo 2012


lunedì 12 marzo 2012

Le pietre in faccia ai vecchi


Vecchi come la vita. Vecchi che urlano senza rispetto, nascondendosi dietro la loro finta sordità. Vecchi che sbraitano come elefanti, sbuffano, ridono, si contorcono con rumore pur di farsi vedere. Vecchie con rughe truccate dal tempo e dal colore del rimmel che si impantana nel fango dei loro volti. Vecchie che si alzano su tacchi come trampoli, per poi cadere spezzate nelle ossa e nell’anima. Vecchie che hanno perso il senso del rispetto per il mondo e per tutto quello che hanno intorno. Vecchie che credono di essere autosufficienti, vecchie che vogliono comandare quel che resta del loro tramonto. Vecchie padrone di una vita che non è più la loro. Vecchie, non anziane. Rotte, non ammaccate. Vecchie barbute, vecchie coi capelli raccolti, vecchie che confabulano per confabulare, che tramano per il gusto di vociare. Vecchie che ereditano una vita passata chissà dove a lavorare o a essere lavorate. Vecchie che ricordano i ricordi del passato, facendoli vivere nel loro presente. Vecchie che tornano bambine immergendosi nella cortesia del mondo. Vecchie che vivono all’insaputa della loro vita, truccate di gioia ma ammalate di un’immortale noia.
Raffaele Nappi

venerdì 9 marzo 2012

La battaglia quotidiana di F.T.


Esiste un posto dove si uniscono terrore e vergogna. Solo lì mi sento al sicuro. Quando tutte le luci si spengono, l’ombra diventa padrona, ecco spuntare dall’origine del proiettore un fascio bianco, poi giallo, dritto sul mio occhio. È l’occhio di tutto il mondo intorno che si fonde col mio. Paura. Forse. Il silenzio somiglia al pulviscolo impazzito, a quelle particelle ubriache di follia che in ogni modo cercano di alzare la voce, ma rimangono mute. Ecco, c’è il giusto silenzio ora. Aspetto quella frazione di secondo prima di parlare. La mia parte mi tormenta da mesi. Da mesi non faccio altro che ripeterla continuamente, ossessionato dalla sequenza di parole esatta. Ci sono. L’atmosfera è quella esatta. C’è la giusta attesa, il giusto silenzio, il giusto grado di attenzione. Parto.
Penso che iniziare sia una delle parole più difficili mai scritte, almeno per me. Mi ci è voluto un bel po’, mettiamola così, per esprimermi con sicurezza. Ma ogni sera, dopo lo spettacolo, ogni notte, dopo la registrazione della scena, io mi sentivo sicuro, potente, divino. La mia forse è solo una sporca sensazione umana di superiorità ma me la godo, pensando che domani ci sarà ancora una nuova battaglia prima di ricominciare a parlare.
Dedicato a F. T. e ad un amico che me l’ha fatto conoscere.
Raffaele Nappi

Le ricette dei MALAFFAMATI: Biscotti Pan di Zenzy




Biscotti Pan di Zenzy

Dato che andiamo verso la pasqua la mia logica mi impone di presentarvi una ricetta tipica del periodo natalizio. Ovviamente io non ho mai detto che la mia logica sia corretta.
Scherzi a parte tutti avrete visto il film d'animazione Shrek o uno qualsiasi dei suoi seguiti,. E chi di voi non si è soffermato su quel piccolo e gustoso personaggio chiamato Zenzy che altri non è che un delizioso biscotto di pan di zenzero? E chi di voi non gli avrebbe staccato la testa a morsi per un motivo o per l'altro? Ora vi insegnerò come darvi a questo atto di fame feroce nei confronti dell'omino di pan di zenzero.


Ingredienti                                                                                                             per 80-100 biscotti


350 grammi di Farina
150 grammi di Miele
160 grammi di Zucchero
150 grammi di Burro
1 Uovo
1 cucchiaino raso di Bicarbonato
2 cucchiaini rasi di Cannella in polvere
2 cucchiaini rasi di Zenzero in polvere
¼ di cucchiaino di Noce Moscata in polvere
½ cucchiaino di Chiodi di Garofano  in polvere
1 pizzico di Sale

Procedimento

Mescolare in una ciotola la farina, il bicarbonato, la cannella, lo zenzero, i chiodi di garofano, la noce moscata, lo zucchero e poi il burro freddo a tocchetti.
Lavorate con le mani il composto fino ad ottenere un impasto sbriciolato.
Aggiungete ora il miele ed in ultimo l'uovo intero.
Avvolgete l'impasto nella pellicola e ponetelo in frigorifero per almeno un'ora.
Passato il tempo previsto preparate un piano di lavoro infarinato e stendete l'impasto di uno spessore di circa quattro millimetri. Ricavatene biscotti con le formine e cuoceteli in forno già caldo in una teglia coperta di carta forno, ben distanziati tra di loro, a 170 gradi per circa 10-15 minuti o meglio finché non iniziano a dorarsi. A quel punto estraete la teglia e lasciateli raffreddare.
Raffreddandosi si induriranno al punto giusto quindi non preoccupatevi se al momento di sfornarli i biscotti sono ancora un po' molli.

Consiglio: L'impasto è molto appiccicoso va quindi lavorato velocemente e a freddo quando lo stendete. Usate di volta in volta solo la quantità di impasto che serve e lasciate la restante in frigorifero. Poi non lesinate sulla farina per evitare che si attacchi al piano di lavoro.
A biscotto cotto e raffreddato potete passare alle decorazioni o con glasse colorate o con il cioccolato (in tal caso al meglio si usi il fondente).

Costo
Mangiarsi il caro Zenzy, come per ogni dolce, porta con sé un alto tasso di fatica ma altrettanto di soddisfazione che potrete ottenere per la modica cifra di:
Costo: 4,00 euro circa (per 80-100 biscotti).

Le Delizie di Francesca Piersanti.

giovedì 8 marzo 2012

La colonna dorata


Lei conosce l’alba. Conosce il tramonto, conosce la notte. Lei conosce ogni ora della giornata. Lei conosce i segreti nascosti nelle mura, i segreti sepolti dalla vergogna, quelli dimenticati per il dolore. Lei non è stanca, mai. E mai l’ho vista tentennare davanti al tempo.
Quando al mattino i sogni regnano ancora lei veglia. Quando tutti si preparano lei è già andata via. Quando torna tutti hanno altro da fare. Ma non ha mai alzato la voce. Ha continuato a lavorare, sorda tra le pareti bianche, in compagnia della sua anima.
Qualcuno dice di amarla, qualcuno vorrebbe sposarla ancora, qualcuno già l’ha fatto. Qualcuno vorrebbe abbracciarla, ma è pietrificato dalla vergogna, qualcuno lo fa.
C’è chi cerca confidenze, chi le pretende da lei, chi si affida alla sua forza. C’è chi torna tardi la sera e non la guarda negli occhi, troppo impegnato. C’è chi la saluta con un grugnito e chi non la degna di uno sguardo.
C’è chi la attacca, e chi la difende. C’è chi crede che niente le è dovuto, e chi pensa che ogni gesto è un regalo. C’è chi, oggi, le regalerà dei fiori, e chi, come me, solo parole.
Dedicato a tutte quelle donne che reggono ogni giorno, in silenzio, famiglie intere. Dedicato a quelle che lavorano e quelle che restano a casa. Dedicato alle madri e alle spose, alle amanti e alle nonne. Dedicato a una donna che oggi è felice.
Raffaele
8 Marzo 2012


Silenzio per Lucio

























Tanti hanno detto troppo su di te. Tanti ti hanno preso come pretesto per spiegare i problemi del Paese. Io ti ricordo con rispetto e silenzio, soprattutto silenzio. E parte un applauso, nel fondo del mio cuore.

Raffaele

mercoledì 7 marzo 2012

Vende rene per comprarsi il tablet



Un ragazzo di 17 anni. Un uomo di mezza età. Un rene, anzi due. Un tablet. Una madre preoccupata. Un mercato clandestino di organi. Un’emergenza sanitaria impressionante. Sono tanti i protagonisti di questa assurda storia, tristemente vera.
Caijing, Cina. La madre era preoccupata. Da qualche giorno vedeva il figlio bianco, debole, lo osservava muoversi con lentezza e rarefazione. La verità era proprio davanti ai suoi occhi, dentro il corpo di suo figlio, o meglio dentro quello che mancava. Un rene in meno, che sarà mai. Un rene donato a un uomo malese di mezza età. Un rene in cambio di 200mila yuan (20mila euro circa) . Un rene in cambio di una passione: il tablet, e tutti i prodotti dell’elettronica che lo facevano andare matto.
L’inchiesta è partita dopo la denuncia della madre. Gli agenti hanno arrestato una decina di persone. Ma non finisce qui. In Cina esistono reti clandestine per il traffico di organi molto sviluppate, alcune travalicano i confini nazionali. La Cina, oltre a questo, deve affrontare un’emergenza sanitaria impressionante a causa della carenza di donatori. Ogni anno circa 1 milione e mezzo di persone è in attesa di un trapianto: solo 10 mila lo ricevono. Il rapporto tra domanda e offerta è di 150 a 1, la media mondiale è di 20-30 a 1.
Non conosciamo il nome del ragazzo che ha compiuto questo gesto. Non sappiamo come si sente in questo momento, se ha paura, se è pentito, se è ancora convinto della sua decisione. Nessuno sa chi e cosa lo ha spinto fino a questo punto. Forse nemmeno lui. Un milione e 400mila persone, intanto, come ogni anno continua ad aspettare.
Raffaele Nappi




martedì 6 marzo 2012

Lettera aperta a Beppe Severgnini


Caro Severgnini,
 ammetto di essere un tuo ammiratore da molti, molti mesi. Ti seguo da quando al liceo le tue parole mi sembravano una sfida ironica di fronte alle ingiustizie della vita. Confesso che ho letto buona parte dei tuoi libri, dei tuoi interventi sul Corriere, delle tue rubriche, dei tuoi editoriali in inglese. Confesso di essere preso da te e dalla tua scrittura in modo quasi maniacale.
Questa premessa però, come tutti gli elogi prima di una bocciatura, continua con considerazioni purtroppo negative. Non so se additare la colpa ai maledetti sistemi informatici o a te. Il fatto è che mi sento come il malinconico Signor Bartleboom, preso per tutta la vita a scrivere tristemente lettere per la sua amata che non consegnerà mai. Perché è così, caro Severgnini. Ti scrivo da mesi, da anni, da quando ero adolescente. Seguo il tuo blog, leggo la tua rubrica sul Corriere. Ma tu non mi hai mai risposto. Niente, nemmeno una citazione breve, un commento satirico, una risposta ironica e tremenda proprio come nel tuo stile. Niente. Ieri sera, non appagato dalle sconfitte subite in questi mesi e in questi anni, ho messo da parte il senso di ingiustizia e ti ho scritto nuovamente sulla rubrica ITALIANS. Era tardi e sono andato a letto in compagnia della speranza. Questa mattina riconosco di essermi svegliato con un’aspettativa che superava la norma: pensavo fosse la volta buona. Ma niente. Niente. Ho letto freneticamente tutti i tuoi interventi nella rubrica, tutte le lettere ricevute, e il mio nome non compariva. Giuro di aver provato una sacrosanta invidia leggendo i nomi dei mittenti; ora loro continueranno appagati le loro vite felici, sazi delle tue sorprendeti risposte.
Io, invece, continuerò a cercare il mio nome tra i mittenti, con la speranza che un giorno comparirà anche il mio. Vorrei mettere in chiaro che la mia non è assolutamente una voglia egocentrica di vedere il mio nome e cognome stampati sullo schermo nella tua rubrica. Lungi da me questo vizio. Ora ho solo bisogno di togliermi questo sfizio. E spero di riuscirci. A meno che tu, un giorno, non voglia trovarti un maniaco che durante la notte ti tormenta in cerca di una misera risposta.
Roma, 6 Marzo 2012
 Raffaele Nappi

lunedì 5 marzo 2012

Pugni ai pensieri



Il futuro non è ancora scritto ma è tutto da immaginare. La carta è banca, liscia al tocco della mano. Sento che col passare dei mesi piccole lettere si formano, cristallizzandosi. Nessuno può ancora vederle, neanche Dio. Le sento mie quelle parole non scritte, quelle soddisfazioni timide e mute. E so che ogni attimo vissuto in questo angolo di futuro è il frutto di scelte prese senza coraggio. So che è facile partire. So che è difficile ritornare di nuovo via, verso la meta. A conti fatti tutto torna. Non c’è rimorso nemmeno per l’azione più impura. Ogni volta in cui il sole verrà a bussare alle finestre eterne io sarò felice di esistere. Vivo per esistere, non per resistere. Non ho da resistere a nulla. Né alle tentazioni, né all’amore, né a Dio. Non voglio resistere alla vita che mi chiama. È stato così finora e continuerà su questo binario. Perché è sempre tardi quando c’è da andare via, ma è sempre troppo presto per tornare. E allora mi volto indietro ad ogni minuto, pensando a chi devo il mio presente. Vi vorrei abbracciare con la semplicità di un grazie, come il volo di un gabbiano fiero. Sto per chiudere gli occhi, ripenso agli attimi che hanno composto questa giornata. Me lo aspettavo? No, ma basta un giorno così a cancellare 120 giorni stronzi, concedetemelo.
Raffaele Nappi


domenica 4 marzo 2012

Buuuuuuuuuuuuuuuu.


Guardateli. Vi prego guardateli come gli sbava la bocca, come gridano. Mi sembrano scimmie. Ma non quelle scimmie da laboratorio, ammaestrate. Sono scimmie bestiali, paurosamente animalesche. Agitano le mani contro di me, vorrebbero assediarmi, scuoiarmi vivo, vorrebbero avere la mia testa. Una maglia di un colore diverso non può provocare tutto questo, la mia mente non riesce a immaginarselo, non fa parte dei pensieri ammessi alla categoria della possibilità. Razzisti è una parola che mi mette i brividi e oggi ho capito che è terribilmente reale. Oggi, in un pomeriggio di sole, durante un gioco, ho visto i razzisti dritti negli occhi. Erano veri, vivi. Erano proprio loro. Questa volta mi sono ribellato, li ho zittiti. Ma la mia anima rimarrà per sempre macchiata, più del colore della mia pelle.
Dedicato a Juan Silveira Dos Santos
Raffaele Nappi



Domenica Decadente


Un’altra domenica mattina da raccontare, quando il cielo si sveglia con fatica, drogato dal sonno. L’atmosfera  dorme insieme agli umani, la pressione non è così densa, la forza di gravità non così forte. Qualcuno cammina dondolando sulle gambe aggrappandosi all’aria. Gli altri, volando come bolle di sapone intrappolate nel caos. Ma non è un caos cattivo. Il ballo tribale che li muove ha delle gerarchie nascoste anche ai saggi. Nessuna bolla si scontra, tutte si fondono. E tutti gli umani allora cominciano a scoprire il senso delle cose. Ho visto una bolla di sapone baciarsi con un’altra: all’interno c’era una vecchia timida e un signore educato. Troneggiavano in un sigillo ora sottile, ora sublime, specchiandosi davanti al sole crescente. Il Caos questa volta è stato buono. Li ha fatti incontrare. E per una volta, prima di morire, ho visto la vecchia sorridere. Aveva trovato il suo senso.
Raffaele Nappi

sabato 3 marzo 2012

Professione: Reporter


Sogno di scrivere. Di viaggiare con in tasca una penna e in  mano grappoli di carta. Sogno di vivere tra il disordine delle scrivanie, il fumo delle ciminiere, il vocio sincopato delle redazioni. Sogno i contatti.  Con i maestri, con i personaggi di un certo spessore“SalvesonodelgiornaleAsinupressvorreifarleunintervista…”, con gli scrittori trasformati in miti. Sogno di telefonare al prossimo tra pareti bianche, incollato al telefono e al taccuino, tra fogli sudati e persi. Sogno di volare. Con aerei malconci tra paesaggi superflui. Sogno di toccare il suolo di terre sconosciute e lontane, dove l’aria ha un sapore diverso. Sogno di sognare in stanze straniere di alberghi in tutte le città del mondo. Sogno di svegliarmi con un compito: raccontare. Sogno di raccontare al mondo il mondo. Sogno di perdermi un giorno in una storia, la mia.
Raffaele Nappi

venerdì 2 marzo 2012

Sorpresa!



Vedo i tuoi occhi camminare sullo schermo, rincorrere parole che sono appena nate. Vedo la mano tra i capelli che li arruffa come paglia gialla nel fienile. Ti sento sorridere davanti alle parole giuste, ai desideri avverati. Ti ascolto sorreggerti al mio braccio nella tempesta. Il suono dei passi è comune, infinitamente solo. La tua voce. Squilla nella sua battaglia contro il silenzio. Il tuo sorriso. Nasce dalle viscere del tempo inaspettato. I tuoi movimenti. Studiati a tavolino dal genio della bellezza. La tua fanciullezza. Fragile davanti alla crudeltà del mondo, troppo vera per questa terra. La tua speranza. Troppa umana speranza per vivere tra comuni esseri di carne. I tuoi sogni. Troppo lontani per un sognatore, troppo vicini per un pragmatico. Sono i sogni dei bambini, alti come alberi secolari che nemmeno la neve riesce ad abbattere. E i miei occhi tornano a camminare sul tuo corpo, saltando profondi nell’anima. Il battito del mio cuore si corregge ad ogni istante, vuole essere simile al tuo. Oggi, per qualche attimo, li ho sentiti pulsare insieme. E ho visto la potenza della vita in un sorriso.
Al mio amore
R.N.

Lettere dal fronte























Sei un pensiero dolce in questa guerra di fantocci.

Al mio amore.

Sabato 17 Novembre 1918