venerdì 24 agosto 2012

Le notti verdi


Eni, Tutto intorno a te.
Lo slogan lampeggiava come una lucciola a Natale. Nella notte. La penna continuava a girare tra le dita, indomita. Poi, a istanti scelti, si fermava. Contemplava il silenzio. Ad ogni battuta d’arresto corrispondeva una riflessione. L’ufficio, di notte, era l’ideale per mettere su esami di coscienza settimanali e spunti geniali giornalieri. Quelle poche anime che vi ronzavano dentro non facevano altro che trascinarsi da una postazione all’altra, o, più precisamente, da una postazione a quella del caffè.

L’estate volgeva al termine, calda, torrida, insofferente. E con la bella stagione si esaurivano le scorte promozionali. Si sa; la dea pubblicità vuole che tutto, sempre, sia reclamabile. Ad ogni ora. Giorno e notte.

Giorno e notte. Fu questa l’allucinazione. Fu in quella precisa parola, notte, che la penna tornò a fermarsi. Questa volta per un bel pezzo di tempo. E di silenzio.

Quando la Eni comunicò la sue nuove offerte post-estive i telegiornali ebbero difficoltà a dare un taglio preciso alla notizia. Qualcuno pensava di inserirla nella sezione “Costume e società”, optando per una scelta leggera. Qualche altro direttore, invece, puntava sulla parte drammatica del caso. Non c’era proprio nulla da scherzare con la “verde” che sfiorava, toccava e superava i 3 euro a litro.

Chi ha avuto la pazienza di leggere fino ad ora potrà beneficiare di una breve digressione sui costumi del tempo. È bene sapere, infatti, che, in quel tempo, gli stili di vita erano cambiati profondamente, così come la geografia delle città. Con i 3 euro a litro le macchine in circolazione erano davvero poche, altro che vacche magre. Quando si avvicinava il rombo soffocato di una marmitta, quasi tutti si giravano verso il fortunato. A volte era il ricco di turno a prendersi la ribalta; quando passava con quel suo macchinone rosso fiammante, oltre che scintillante, scioccante, suadente, sfavillante, tutti rimanevano a bocca aperta, più per lo spreco di benzina che per la serie di aggettivi sopra elencati. Le città, dicevamo. Con molte meno auto in circolazione, o come volete, con molte più auto nei garage, i centri storici divennero, forzosamente più che per decreto comunale, tutti a disposizione dei pedoni. Finalmente, per una volta, le città italiane tornarono a galleggiare nella storia, con le biciclette per le vie principali, con i turisti a piedi al centro della strada, con folle silenziose di orientali che si districavano come tentacoli lungo le caratteristiche viuzze. Non c’è male, direbbe qualcuno.

L’idea, quella dell’inizio, della penna ferma, se ricordate, era troppo fantastica per diventare realtà. Una pazzia. Quella notte, nell’ufficio del Dipartimento Amministrativo dell’Eni, i neuroni girarono a mille. Come mille pistoni.

Qualcuno, come dicevamo, non riuscì a mantenere la giusta misura e la deontologia professionale andò a  farsi benedire, anche da parte di illustri rappresentanti degli organi di informazione. Alcuni testimoni confermano di aver avvistato strilloni per le strade. Il grande ritorno, potremmo dire. Ne valeva la pena, aggiungerebbe qualche altro. Per una notizia così.

Eni, tutto intorno a te, ha deciso di cambiare il mondo. Una nuova, sconvolgente offerta è pronta per servirti e riverirti come non mai. Prendi la tua macchina dal garage, rispolvera il vetro con amore, accarezza il cambio, siediti comodo. E accendi pure il motore. Dopo 10 anni di torture petrolifere e di aste al rialzo il prezzo della benzina tornerà ad una quota sconvolgente. Solo da noi potrai ricevere uno sconto impressionante: PER TUTTE LE NOTTI, A PARTIRE DAL MESE DI OTTOBRE, IN OGNI STAZIONE ENI POTRAI ACQUISTARE UN LITRO DI BENZINA ALL’INCREDIBILE PREZZO DI 20 CENTESIMI AL LITRO. È un’occasione che non potete perdere. Metti in moto la tua vecchia auto e corri da noi. L’offerta è valida solo dalle 3 alle 4”.

In sostanza, andò così. Quella penna aveva scaturito un pandemonio. Credetemi.

Le prime notti di ottobre la situazione era piuttosto tranquilla. Certo, non tutti avevano creduto davvero all’offerta. 20 centesimi per un litro di benzina erano cose dell’altro mondo. Mai visti prezzi del genere. Verso le 3 e 15, nelle stazioni Eni, cominciavano ad arrivare curiosi, perlopiù vecchietti in cerca di avventura memorabili, o giovani che approfittavano del rientro dalla discoteca per fare il pieno con pochi spiccioli. Quando la voce cominciò a spandersi, più che a macchia diremmo a pozza d’olio, le prime code cominciarono a sorgere, anticipando di gran lunga l’alba mattutina.

Passarono i giorni, e soprattutto le notti, e l’offerta sembrava non finire mai. In effetti, nel body-copy non c’era nulla che accennasse al termine delle condizioni. Le code, cominciarono a diventare chilometriche. Diverse categorie di umani trascorrevano le loro serate in cerca della benzina Eni. I tirchi, comunemente riconosciuti da un ghigno sofferente sul lato del labbro e da un braccio inspiegabilmente più corto del normale, si appollaiavano nelle vie che portavano alle stazioni di benzina già dal primo pomeriggio, per paura di perdere quella straordinaria occasione. I vecchietti, comunemente riconoscibili dal pelo canuto, o dall’assenza di pelo, e dal fare un po’ arzillo e un po’ spinto, arrivavano nelle stazioni di servizio in piena notte. La loro ricerca di emozioni forti li spingeva fino a quello; la Fiat Cinquecento bianca risplendeva come nuova, altro che fiammante, con quella bionda straniera sul sedile a fianco. I giovani ubriachi di ritorno dalle discoteche, comunemente riconoscibili anche a vista d’occhio per i movimenti scoordinati e aleatori, arrivavano sparati, superando tutte le code a velocità doppia sulla corsia opposta.

I tirchi, quelli, cominciarono a sbraitare come scimmie; avevano paura che i giovani, quelli ubriachi, raggiungessero la stazione di servizio prima di loro. I vecchietti, imbacuccati sul sedile posteriore con le bionde sfavillanti, rimboccarono subito la dentiera e si misero al loro seguito, pensando fosse una gara improvvisata, e per giunta pirata. I benzinai, operatori di una multinazionale che si era diffusa a pozza d’olio, come dicevamo, sul resto del pianeta, si videro correre incontro una mandria di automobili senza controllo e senza freni, nemmeno inibitori. L’incidente fu inevitabile. La tragedia pure. Morti e morti si aggiunsero ai danni provocati dall’esplosione violentissima dei giacimenti di liquido infiammabile nei sotterranei della stazione di servizio.

L’offerta, dopo qualche giorno terminò. La compagnia petrolifera, con un preciso dossier pubblicato dai giornali di sinistra, fu accusata di manipolazione degli stili di vita. I medici intervistati confermavano le anomalie riscontrate nei pazienti che usualmente andavano a rifornire le loro auto tra le 3 e le 4 del mattino. Instabilità mentale, irrequietezza, mancanza di controllo, ipertrofia, tensione muscolare, tensione nervosa costante, pressione corporea al di là dei livelli di guardia.

Il mondo, dopo un lungo e difficile periodo di nostalgia “verde”, tornò alla realtà. Niente macchine, niente mezzi pubblici, niente corse di Formula 1, moto, motocross, motocicli, apecarri. Niente di niente. Una sola, irrimediabile certezza: che quella sostanza oleosa, puzzolente, nauseabonda, aveva conquistato la razza umana in maniera decisiva. O forse loro manco lo sapevano.

Raffaele Nappi

giovedì 2 agosto 2012

Le Olimpiadi e la bambina


Di solito preferiva restare da sola. Ma c’era sempre qualcuno, lì nascosto tra gli alberi, ad osservarla. Baby non era un nome poi tanto male per una ragazzina come lei. Forse, al massimo, un po’ troppo occidentale. Quando i fratelli andavano a lavoro lei se ne stava nella foresta per pomeriggi interi. Correva. Correva su per le alture dell’altopiano, senza guardare mai il sole; il capo chino e la schiena dritta, immersa nell’aria. Una bambina poco veloce, ma resistente come pochi. Se gliel’avessero chiesto non avrebbe saputo rispondere. Baby, allora, com’è nata questa sua passione per la corsa? A dire il vero non so, passo i pomeriggi correndo, mi piace diventare vento, tiepida sotto il sole, galleggiando nell’aria. Ma, mi raccomando, non lo dica a nessuno, non scriva il nome, per piacere. I miei non devono sapere.

Baby, a dire il vero, non avrebbe nemmeno risposto alla domanda. Non le piaceva rispondere. Forse non le piaceva nemmeno parlare. Possedeva, a dirla poeticamente, quella capacità elegante e superba della bellezza rude, quasi violenta, inattaccabile. Era un’anima selvaggia, nuda nella sua fierezza.

Non era sola, dicevamo. Come qualsiasi bellezza inattaccabile, Baby era braccata dal cacciatore. Il suo, però, era uno di quei cacciatori immobili, statici, che aspettano per una vita intera se necessario. Quello, l’aveva vista correre solo per pochi metri, una volta sull’altura, e svenne, all’istante. Da allora non aveva fatto altro che seguirla. Era un vecchio saggio con la passione per la solitudine, perso nella vita tra la vita degli altri. Non voleva farle del male, per carità. Era solo così; era necessaria. Guardarla gli serviva per andare avanti. Era una meteora senza esplosioni. Nessuna cometa, nessuna scia. Nessuna scomparsa.

Il vecchio cacciatore, dannato stratega di novità, era un appassionato mortale per la tecnologia. Fu così che, dopo 7 mesi dall’ordine presso la posta del paese più vicino, arrivato un pacco contenente un pc si ritrovò di nuovo tramortito a terra. Era così, non conosceva mezzi termini. Per fortuna non conobbe il matrimonio, altrimenti sarebbe cascato dritto in terra anche lì. L’emozione lo investiva. Punto.

Tralasciamo, delegando l’immagine al lettore, cosa accadde quando il vecchio cacciatore si dotò di un telefonino incorporato di telecamera. E di come se ne girava con quell’arma maledetta in pugno a seminare il panico tra gli abitanti del villaggio, che lo assalivano ogni volta erano puntati da quell’aggeggio nero. Il cacciatore, dicevamo. Niente, nemmeno gli svenimenti più recenti, lo fecero allontanare dalla sua gazzella. Ogni pomeriggio, in un altopiano scosso dal vento, si incontravano senza vedersi un vecchio pazzo con un telefonino e una ragazza più taciturna di una pietra che fendeva l’aria, lentamente.

Il cacciatore, quel pomeriggio di primavera, mise su il più grande progetto della sua vita. Grazie ad un impeccabile sistema di cronometraggio riuscì a misurare in quanto tempo la giovane gazzella attraversasse l’altopiano. E così nei giorni successivi. I quaderni, prima bianchi di solitudine, diventarono zeppi di numeri, cronometri, confronti. Il vecchio cacciatore, al tavolo, mentre era al lavoro, svenne. Svenne ancora. E ancora. Passò un intero giorno a rimanere secco. Si svegliava, guardava il quaderno, e cadeva come freddo corpo cade. Su e giù. Impazzito.

All’ultimo risveglio il vecchio cacciatore si decise. Sarebbe andato di nuovo all’altopiano. Per l’ultima volta. L’attrezzatura era fissata, l’obbiettivo pronto a inquadrare la storia. Come un Cacciatore finalmente degno del suo nome, il vecchio seguì la gazzella in ogni centimetro della sua corsa. Senza mollarla un attimo. Quando la gazzella scomparve all’orizzonte, annegata nel vento, tutto era fatto. Il tempo era preso, l’obbiettivo aveva fatto il suo dovere. Ora era tutto vero. Nessuno avrebbe potuto negare.

Il video fece il giro del mondo in meno di 80 giorni. In meno di un giorno. Una gazzella, violenta e selvaggia, che corre come impazzita verso il vento su un altopiano di una terra che forse manco esiste, talmente dimenticata da tutti. Una bambina senza nome, che ferma il cronometro sotto il record del mondo. Prima di tutti, prima del tempo umano, regolare, consentito. Un miracolo senza nome, senza storia, ma un miracolo. Team di scienziati confermarono la veridicità dei fatti. Nessuno sapeva chi avesse girato quelle immagini, non c’era descrizione alcuna, ma tutto era vero. Vero.

Il mondo intero si organizzò in squadre di giornalisti avventurieri alla ricerca di quella gazzella senza nome, la figlia del vento. Quando la trovarono riuscirono a strapparle solo poche parole; in cambio tutto il mondo venne a sapere il suo nome. Baby. Banale, semplice, forse per questo vincente. Certo, quel nome fu capace di rifiutare un posto nell’Olimpo dello sport; non sapeva nemmeno cosa significasse la parola sport. Lei correva. E basta. A nulla servirono le preghiere, i soldi degli sponsor, le pazze offerte delle federazioni nazionali sportive. La bambina rifiutò, voleva restare con la sua famiglia. Punto.

Quel punto rimase fermo come un macigno. Ma, il destino, quello, si mise in moto, questa volta più veloce di lei.

Il direttore olimpico non era mai stato in una situazione simile. E non ci pensò 2 volte. Basta, fermate tutto, interrompete le gare, le cerimonie, i festeggiamenti. Spegnete le luci. Restate fermi. Com’è ferma adesso Baby, sotto i ferri, a lottare per la vita, dopo essere volata in aria. Una mina. Nient’altro che una mina. Quante ce ne sono nel mondo. Quanti proiettili nascosti e beffardi pronti a saltellare. Quello di Baby fu un passo più veloce del vento, ma la sua corsa si arrestò, bloccata da un muro d’aria improvviso.

Non si era mai visto un episodio simile. Non era mai accaduto. Mai, da generazioni in generazioni, si era assistito a questo. I giochi fermi, il silenzio padrone, lo stadio pieno in un’unica preghiera. E una ragazzina dal nome semplice e banale in una stanza putrida e maleodorante bruciata dal sole in un campo. Un dottore su di lei, lo sguardo attento, quasi religioso. Lo stadio non emetteva un suono, lo schermo era buio, come il buio intorno. E così finì.

Baby morì sotto i ferri. Quel tentativo estremo di salvarla non aveva fatto altro che apportare nuove infezioni, e ancora altre. Il suo corpo maciullato dal proiettile sotterraneo era ora una terra di batteri, che come fuochi roventi le dilaniavano l’anima. Baby se ne andò in mezzo al silenzio del mondo, allo stupore di chi in lei aveva visto la bellezza della libertà e la forza della natura. Le olimpiadi ripresero dopo 2 giorni. Il clima non fu più lo stesso. Il mondo non fu più lo stesso. La cerimonia di chiusura terminò con una foto, scattata chissà quando, che ritraeva una ragazzina sorridente. Era Baby.

Lontano, sull’altopiano, un vecchio guardava senza smettere il campo dilaniato dal vento. Aspettava la sua gazzella.

Raffaele Nappi