mercoledì 10 ottobre 2012

Il tempo zero



La testa era già nel casco. Il mondo era diventato ovattato, buio. Gli uomini gli giravano intorno come formiche indaffarate, sempre alla ricerca di un motivo per non restare fermi. Qualcuno spazzolava per terra, qualche altro scrutava fili elettrici disegnati su uno schermo. C’era chi teneva delle coperte sulle gomme e c’era chi studiava strategie per il giorno successivo. Era sabato. 

Le prestazioni non erano andata poi così male. Quel tempone non c’era stato, ma, complessivamente, diciamo che le cose sembravano mettersi per il meglio in vista della gara. Durante le prove precedenti, mentre gli altri strombazzavano per la pista in cerca del record da agguantare e battere, lui, insieme alla sua macchina, se n’era stato lì, al caldo del suo sediolino, cullato per le valli belghe dalla forza motrice. La macchina aveva risposto bene alla simulazione di gara. Okkei, niente tempo da qualifica, ma la gara, quella, nessuna ce la toglie. Abbiamo il passo. Non il passo più lungo della gamba, il passo gara.

Il sabato si profilava, quindi, come una giornata di sofferenza, sebbene il paragone appaia un po’ troppo forte in termini umani. Sofferenza sportiva, si intende. Ci si difende il sabato per attaccare la domenica. Ci si nasconde dietro quei maniacali piani di guerra che sono le strategie di gara. Basta una sosta in meno e bam, eccoti davanti a tutti a lottare per non farti finire le gomme.

Negli ultimi anni le regole erano cambiate. In nome dello spettacolo, ovviamente. E in nome degli sponsor, logicamente. Non più un sola sessione di 60 minuti - scusate le tante esse che si ripetono – ma 3 da 15 minuti l’una. Solo l’ultima, come da battaglia finale, durava 10 minuti. Una bella sgranellata verso la griglia di partenza definitiva.

Quel sabato, nessuno si ricorda il giorno preciso, né l’orario in cui accadde – per i motivi che presto vedremo – le macchine erano tutte pronte nelle loro culle, comunemente chiamate box, così all’inglese, tanto per fare un po’ di globalizzazione linguistica.
Allo scattare del semaforo verde, ebbene sì, c’è un semaforo verde ed uno rosso anche nelle gare automobilistiche!, tutte le vetture pian piano sgusciarono timidamente. Le si poteva osservare mentre, come da perfette ubriache, dondolavano nei rettilinei, acceleravano e frenavano inspiegabilmente. Qualcuno diceva che era per riscaldare le gomme. Fatto sta che i piloti, in quel giro “ di ricognizione” si divertivano da matti. E vai col zig zag!

Fu la vettura gialla a partire per prima, seguita da una completamente arancione. Di solito erano quelle più lente a marcare i primi tempi. Ecco. Siamo giunti al punto. Ma quali tempi! Il cronometro generale, quello della pista, quello che marca il giro di una vettura come se fosse un cartellino, quello che timbra il millesimo, quello che ferma il centesimo, quello che interrompe il normale scorrere della clessidra. Ecco. Insomma, il cronometro era guasto. 

Fu la prima macchina ad accorgersene. Gli strateghi aspettavano ansiosi un tempo con cui confrontare i dati, per analizzare le prestazioni e cercare soluzioni. Ma nulla. Al primo settore ci fu uno strepitoso 00’00’’00’’’ che mai avrebbe convinto nessuno. Non si poteva percorrere nemmeno un metro in quella frazione di tempo. Tutti lo sanno. Sembra che anche Zenone se ne sia convinto.
Eppure, anche il secondo intermedio finì uguale. E così il giro. Un giro in 00’00’’00’’’, altro che record della pista. Il massimo di tutti i tempi. Ok, la prima macchina può passare. Ma la seconda no. E invece, smentite tutte le aspettative, il cronometro non diede alcun segnale. Zero. 0. Zero spaccato.

I piloti rientrarono nei box, abbastanza straniati. Gli altri, quelli che aspettano l’ultimo attimo possibile prima di fare il proprio tentativo, se ne restarono nella loro culla. Fermi. Poi uscirono dall’abitacolo, con la faccia un po’ intontita.

Ok. Un problema al cronometro di sabato può capitare. E allora che si fa? Come la mettiamo con la griglia di partenza? La Federazione intervenne subito scusandosi con gli spettatori presenti, evviva l’ipocrisia, e piangendo in ginocchio davanti agli sponsor. Il comunicato parlava chiaro. La griglia di partenza avrebbe rispettato il punteggio del campionato mondiale. Tutto qui. Deciso. Punto.

La domenica nacque con il cuore in gola. Gli spettatori arrivarono con calma, mossi da un sentimento di curiosità morbosa. I piloti seguirono tutte le procedure; la sessione mattutina fu annullata. Se il cronometro avesse dato problemi già alle 9, nessuno si sarebbe collegato alle 2 vicino al maledetto schermo. 

L’attesa era grande. Così come il silenzio, profondo. Le macchine si schierarono candidamente lungo la pista. Il giro di ricognizione passò liscio, tanto mica serviva cronometrare il tutto. Le macchine, dopo il loro irrinunciabile zig zag, si infilarono dolcemente nelle caselle assegnate. Ecco. Il momento arrivò.
 
Il semaforo rosso si accese, e poi quello vicino. Si accesero tutti e poi il vuoto. Si spensero come se fossero morti. Fu strano vedere come il vuoto dava vita ad una battaglia. 

Il cronometro, quello, rimase impalato. Nessuno riuscì mai a spiegarselo. Sempre fermo su quel temo. 00’00’’00’’’. Nemmeno un millesimo di più. 

La Federazione, disperata, decise di far continuare la gara. E così fu anche per quelle successive. Il cronometro era scomparso in tutto il mondo, mica solo in Belgio. E così, gli spettatori si divertivano immensamente a seguire le rimonte “a vista d’occhio”, le battaglie non si combattevano più sul filo dei millesimi. La gara la vinceva chi arrivava primo, chi per primo tagliava il traguardo. Niente più record, niente più prove. Il sabato diventò giorno di festa, in cui i piloti tutti si sbizzarrivano con i loro zig zag lungo la pista. Qualcuno non riuscì a trattenersi ed uscì dall’abitacolo con la tuta bagnata proprio lì. L’avete capito, si scompisciavano dal ridere. Per davvero.

Il pubblico accorse in massa, si innamorò come una seconda volta. Gli spettatori non guardavano più al millesimo ma alla bellezza della macchina. Gli appassionati non vedevano l’ora di arrivare al circuito. E specialmente di sabato. Le gare tornarono ad essere divertenti, gli strateghi non avevano più dati, i sorpassi si sfornavano come panini.

Nessun record fu più battuto. Nessun best lap. Ma il divertimento ci fu lo stesso. Anzi.

Raffaele Nappi 

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