mercoledì 29 febbraio 2012

Mi dimetto


Mi dimetto dalla mia vita. L’ho deciso. Ho incontrato un viaggiatore alla stazione, senza volto, mi chiedeva un soldo. Gli ho dato un cazzotto, uccidendolo. Mi dimetto dalla mia vita. Ho incontrato un compagno su un marciapiede. Ho finito per ammazzarlo con la bocca aperta sul bordo del cemento: il suo corpo si è spezzato a metà. Mi dimetto dalla mia vita. Ho assassinato la mia anima e il mio corpo con litri e litri di lamentele, con giorni persi senza sorrisi, con fiamme di rabbia che mi hanno tagliato la gola a morsi. Mi dimetto dalla mia vita. Prendo l’anima a calci, e se non la vedo prendo a cazzotti il vento, al buio; stringo i pugni e li tiro all’aria.
Sono affannato. Il respiro è un mostro marino che ha appena finito di ingerire il mondo. Sento che qualcosa sta per cambiare. Mi dimetto dalla mia vita. Ecco, vedo una bambina venire verso di me. È circondata dall’alba, senza sfondi precisi. È vestita di rugiada. Sorride. Mi viene incontro e mi abbraccia. Per un attimo sorridiamo. Poi, il mio coltello entra nella sua tenera carne. La pugnalo alle spalle. E mentre la pugnalo, piango. Lacrime e sangue non sono mai state così vicine. Si mischiano fino a formare fiotti di fiumi che bagnano la mia colpa, senza farmi sentire male.
Sono un assassino. Non ho mai saputo far altro della mia vita. Ho appena ucciso una bambina. Forse nessuno dovrebbe vedere queste parole che scrivo per il solo gusto di celebrare le mie vittorie. Mi dimetto dalla mia vita, ho deciso. L’ho deciso per sempre. L’assassino che è in me morirà con me. O forse no. Mi dimetto dalla mia vita. Voglio nascere ape, se rinasco. Così da non sentire la colpa.
Le api non sentono la colpa. Quando provano dolore volano via.
Raffaele Nappi

lunedì 27 febbraio 2012

Le ricette dei malaffamati: Spaghetti all'Agro Indiavolato



La prima volta che tentai questa ricetta andò talmente bene che passarono anni prima che io la ritentassi. Poi di recente, dimenticato l'infausto esito precedente, complice un mal di gola che mi ha costretta a comunicare per una settimana a gesti accompagnati da un esile e roco filo di voce che al mattino mi avrebbe permesso di doppiare alla perfezione un trans, ho riscoperto questa ricetta nella speranza che il limone anestetizzasse le tonsille e l'ho modificata a mio piacimento.
L'esperimento ha avuto successo e ora ve lo propongo.

Costo

Per volontà imperscrutabile del mio editore, da questa settimana verrà introdotto anche il costo della ricetta presentata. Ovviamente si tratta di una stima quindi se usate pasta super deluxe trafilata all'oro invece che al bronzo non lamentatevi del lievitar dei costi.
Dunque chi di voi tratta la crisi come il “Tu-Sai-Chi” di harrypotteriana memoria tiri un sospiro di sollievo: questa ricetta è ottima per tutti i tirchioni che leggono.
Costo: 1/1,50 euro (per due persone).

Ingredienti                                                                                                                        per 2 persone


200 grammi di Spaghetti
1 Limone
Olio q.b.
Peperoncino tritato q.b.
Sale q.b.


Procedimento

Lessate gli spaghetti in abbondante acqua salata. Intanto preparate un'emulsione con il succo di un limone, l'olio ( i due liquidi devono essere più o meno nella stessa quantità) e un po' di peperoncino.
Scolate gli spaghetti e rimescolateli sul fuoco sfumando con l'emulsione preparata per due o tre minuti. A questo punto servite con una spolverata di peperoncino.


Consiglio: Questa è una di quelle ricette talmente essenziali che a voler fare aggiunte si rischia il tracollo. Dunque se proprio volete metterci le mani vi posso consigliare di sostituire in base ai propri gusti il peperoncino con basilico oppure menta. In questo caso il sapore virerà sul fresco adattando il piatto hai primi caldi primaverili.



Le delizie di Francesca Piersanti

domenica 26 febbraio 2012

Il suonatore di sorrisi

È il pomeriggio soleggiato di una domenica come tante di un anno come tanti. I ristoranti sono affollati nelle strade. I televisori accesi nelle case davanti ai signori del calcio. I letti sono pieni di lavoratori che dormono in quel santo giorno che hanno a disposizione per riposare il loro corpo stressato.
La via è libera. In strada non c’è nessuno, a parte il sole e l’ombra che si fanno compagnia. Poi, a un certo punto, il mondo si rende conto che qualcosa c’è. Ora tutti sentono quella musica che fino a qualche attimo fa giuro non esisteva. I clienti dei ristoranti si guardano intorno per capire a chi dare i loro spiccioli. I televisori nelle case aumentano il volume. I lavoratori nei letti si svegliano assonnati, pensando ancora di sognare. La musica è un insieme di note che si aggrappano l’una all’altra in una catena di seta increspante nell’aria. Nessuno sembra accorgersene ma tutti cercano la sorgente del suono.
Mi affaccio alla finestra anch’io, dopo mille incertezze. Lo vedo, il suonatore, sorridente. Cammina per la strada vuota pensando di passeggiare sul velluto. Muove le braccia con maestria e fatica, suona la fisarmonica come se stesse danzando sott’acqua. Le note scorrono, insieme ai minuti. Quando la musica si interrompe il suonatore alza gli occhi. La sua fantasia allora si scatena. Immagina che dagli enormi palazzi piovano rotonde piastrelle dorate, accompagnate da fogli di carta rettangolari, di varie dimensioni. Ma il cielo rimane lì, fermo, a guardarlo. Il suonatore se ne va, trascinando la sua cassa con una carrozzella. Cammina lento, ora. Non ha avuto ricompensa. Il suo cuore forse non sa che al suono della musica un sorriso è apparso tra i clienti dei ristoranti, tra i signori del calcio ai televisori, nei sogni dei lavoratori stanchi. Il suonatore se ne va, ignaro. Anche io lo osservo, nascosto dietro il mio timido balcone. Il suonatore cammina, e sparisce all’angolo della strada.
 Chiudo la finestra, un po’ triste. Apro il mio quaderno e comincio a scrivere. Dopo pochi istanti torna la musica a farci compagnia. È ancora lui. Il suonatore ha ricominciato a distribuire sorrisi, senza perdere il suo.

Raffaele Nappi

Alicenelpaesedellemeraviglie

Sono seduto sulla mia anima con una bottiglia aggrappata alle mani. Qualcuno quando cammina e mi guarda prova un ghigno di pietà. L’alcol mi sale nelle vene, devo smetterla di bere. Giuro che è l’ultima volta. I passanti passano come il tempo, ma non sono soli. Ci sono i miei sputi ad accogliere le loro suole sudice di affettazione. Sono ubriaco, lo ammetto. Vorrei avere un foglio al mio fianco per entrare nel mondo delle parole. Ecco, ve lo presento come se foste i miei figli. Tutti i miei figli nella mia pancia più grande del mondo.
Il mondo delle parole è bianco. Non bianco bianco. Bianco come il latte. Quel bianco che quando lo vedi non ti fa male, anzi lo vorresti abbracciare. Lo senti che è un bianco denso, senti che quando schizza le gocce sono così grandi da farti male. Nel mondo delle parole non ci sono abitanti umani. Solo tecnici. Tante carte in stile Alicenelpaesedellemeraviglie creano un esercito in bianco e nero che potrebbe vincere qualsiasi guerra. Nel mondo delle parole le nuvole si abbassano fino in terra, creando corridoi soffici, altalene sul vuoto. Ma solo i puri di cuore possono scivolare sugli scivoli senza cadere giù. Nel mondo delle parole i tecnici, aiutati dagli animali, lavorano tutto il giorno, tutti i minuti, per mettere insieme ogni lettera. Ogni lettera è alta 10 metri e c’è bisogno di immense gru arancioni, con funi fortificate, per saldare il ferro tra le lettere. Il mondo delle parole è da sballo. Per il momento ho visto solo la lettera “O” e non vi so dire il perché. Scivolavo senza sosta nel suo solco, come una culla. Ma vi prometto che racconterò per bene tutto il resto della storia. Lo giuro.
Il foglio è finito. È quasi diventato tutto nero con l’inchiostro che si è messo a mangiucchiare tutte le parole che avevo cercato di scrivere così bene. Quello stupido inchiostro nero ha cercato di incendiarmi anche la mano. La vedo con orrore, è quasi ustionata. Me ne torno a letto. Ma vi devo confessare una tremenda verità: la bottiglia di alcol è ancora tutta piena, è lì che mi guarda, e io guardo lei sorridente. Vi ho preso in giro, lo so. Solo chi sarà arrivato alla fine di questa breve esperienza sensoriale avrà capito che la fantasia è un viaggio iperbooooolico!
Ve l’ho detto che non sono ubriaco: quattroperquattrodivisoquattro fa quattro!!! Ve l’avevo detto!!

Il Cappellaio Matto

venerdì 24 febbraio 2012

I SIMPSON: "DESTINI E DELUSIONI"


Lo ammetto: è sempre difficile sperimentare nuove tecniche di scrittura. La sceneggiatura in sè mi ha sempre affascinato. Dopo questo lavoro, penserò all'immensa mole di scrittura che c'è dietro ogni singola puntata degli americani gialli.

Scena iniziale: tutta la famiglia corre a sedersi sul divano per guardare la tv, Lisa arriva in ritardo e colpisce con un libro Homer, il quale, scosso dalla botta, pronuncia: “Nel mezzo del cammin di nostra vita…”

PRIMA SEQUENZA
È mattina, la famiglia Simpson si sveglia. Il cielo è sereno. Homer stacca la sveglia, Marge è già giù a fare le pulizie. Lisa è sveglia nel suo letto, ansiosa. Bart dorme.
Marge: Maggie svegliati… (chiama col suo telefono cellulare il numero di casa) . Homer, che è ancora nel profondo dei suoi sogni, si sveglia di soprassalto, all’urlo di “Salsiccione mio, fatti abbracciare!”. L’intera famiglia si appresta a scendere in cucina per fare colazione. Bart arriva sonnolento con sulla schiena il nuovo zaino di krusty “Una risata salva la giornata”. Homer è a letto, suda. Ha appena scoperto che il suo ballo col salsicciotto era solo un sogno, e rimane deluso. Intanto in cucina..
LISA: Muoviti, sbrigati, forza! Mi farai arrivare in ritardo anche oggi?
BART: “Stai tranquilla ciuccellona, oggi ho una sorpresa per te…
LISA: Una sorpresa? Dimmelo, dimmelo, dimmelo… non voglio stare  ad aspettare! È un libro?
BART: No!
LISA: Un abbonamento al museo?
BART: No!
LISA: Una card speciale per la sezione segreta della biblioteca?
BART: No!
LISA: Mi hai iscritto a un concorso letterario a mia insaputa? Dimmelo, dimmelo, dimmelo!!!
BART: Calmati ciucciellona, lo scoprirai tra poco.
Intanto Marge, la quale non ha ascoltato la conversazione dei figli poiché impegnata con Meggie, arriva in cucina di corsa.
MARGE: Muovetevi ragazzi! Forza! È sempre la stessa storia tutti i giorni. Otto deve sempre aspettare con quel pulmino sgangherato. Bart, arriverà il giorno in cui sarai a scuola in orario?
BART: Se era questo che volevi, mamma, allora hai ragione. Quel giorno è arrivato. Sii fiero di tuo figlio.
MARGE: Va bene, va bene. Qualunque cosa tu abbia in testa la farai fuori da questa casa. Ricorda, niente pistole, schiaffi e insulti. Sii prudente.
BART: Va bene madre. Stai tranquilla. E saluta il tuo diletto figlio che va a onorare la Patria!
MARGE (tra sé): La serie di Krusty sulla guerra di secessione sta dando i suoi frutti…
LISA: Corri Bart, Otto è già fuori!
BART: Sto arrivando…
I due ragazzi chiudono la porta di casa, salutando la mamma e si avviano verso il pulmino.
BART (avvicinandosi a Otto con passo furtivo) : “Otto, oggi passiamo. Devo sperimentare quell’affare. Ricordi?
OTTO: Stai tranquillo, non dirò niente a tua madre. Ci vediamo domani.
LISA (intanto stava già prendendo posto sul pulmino) : “Baby, dove vai? Oggi ci sono le interrogazioni finali! Non puoi assentarti! BAAAAART, VIENI SU!!!
BART: “Che c’è ciucciellona, prove di compassione fraterna? Io ci verrò a scuola, stai tranquilla. Devi vedere come….
LISA mossa da un senso di pietà verso la sconsideratezza del fratello decide di scendere dal bus. Otto, già in estremo ritardo, parte via sgommando verso la scuola.
BART: Ti sei decisa eh? Mi dispiace ma la mia invenzione può supportare solo una persona. Oggi è il grande giorno di prova. Arriverò in parata davanti al cortile, tutti saranno sbalorditi. Sì, come un razzo, arriverò proprio come un razzo…
LISA: E io? Che cosa faccio io? Vorrei sapere chi mi ha spinto a scendere dal pulmino proprio oggi, nel giorno dei test! Maledetta me, maledetta!
BART: Non stare in pena, fregnona. Verrai con me, sulla nuova e fiammante ultima impresa di BART SIMPSON!
LISA comincia a andare in panico. È ansiosa, respira a fatica. Segue Bart senza sapere dove stiano andando.
BART si muove con agilità verso la capanna sull’albero. Lisa lo segue, senza pensare. I due si arrampicano velocemente tra i rami e raggiungono l’obiettivo. Nella capanna ci sono strani attrezzi. Lo skateboard di Bart è dipinto di bianco e blu, con delle fiamme sui bordi e una grande lattina lungo i due fianchi. Lisa è entrata oramai in trance. Il ritardo non è ancora compromettente ma al solo pensiero di mancare al suono della prima campanella rimane muta.
BART: Guarda. (prendendo lo skateboard) Ecco il mio nuovo cucciolo. (spostandosi verso la busta al suo fianco ne vuota il contenuto) E questo è il mio carburante. Apri gli occhi ciucciellona, perché sei di fronte al RED BART!
Bart soddisfatto cerca consensi tra gli occhi della sorellina, la quale però non dà segni di vita. Il piccolo allora si gira verso la capanna per essere sicuro che non ci sia nessuno a impedirne la fuga verso scuola. La telecamera inquadra Homer che, con il lenzuolo a mo’ di tunica romana, sta tenendo un discorso nella sua camera sulla necessità di attaccare la terra dei salsicciotti. Egli si improvvisa console, e il suo nemico è rappresentato da un poster di Arturo Fonzarelli che ammicca dolcemente verso di lui. Bart segue divertito quella scena, mentre Lisa non riesce a uscire dal suo stato di trance. All’improvviso un suono si sente alla porta della stanza da letto di Homer. È Marge, che si avvicina per pulire la stanza , ignara che il marito è ancora lì e che, anzi, sta facendo tardi per andare a lavoro.
MARGE: Questa mattina ho fatto prima del solito. Direi che è il mio record personale di pulitura della casa!
HOMER: Porca bubazza! Un nascondiglio, un nascondiglio! Devo trovare un nascondiglio. (Si ripromette di pensare a un posto sicuro dove scappare dalle grinfie della moglie. Intanto la sua scimmietta travestita da suonatrice compare nella sua mente e suona fragorosamente il tamburo).
HOMER: “Porca bubazza! Un nascondiglio, brutta scimmia!
Bart, segue la scena dalla capanna e ride a crepapelle. Lisa sembra non capire cosa stia accadendo e si mette a accovacciata sulla busta segreta del fratello, accanto allo skateboard.
Homer, nonostante la scimmietta, prende definitivamente una decisione. Apre la finestra e si aggancia al tubo dell’acqua. Pian piano, (nonostante il suo peso il tubo regge) riesce a giungere a terra, dove lo aspetta il Piccolo aiutante di babbo natale in giardino. Purtroppo Homer non si è reso conto che è ancora con il lenzuola aggrovigliato sulla spalla e comincia a correre disperatamente per il giardino in cerca di una porta aperta. Bart segue la scena ancora più commosso dalle risate, tanto da cadere dalla capanna. I due si ritrovano abbracciati in terra al giardino, nella classica forma della Pietà, quando Flunders sta portando i suoi due figli a scuola.
FLUNDERS: Non guardate piccini miei. Ecco quello che accade quando la globalizzazione rende tutto soggetto al vile denaro. Discostate gli occhi.
I suoi due figli non riescono a distogliere lo sguardo, e rimangono scioccati dalla posizione di Homer e Bart.
Marge intanto ha finito di pulire, in maniera incredibilmente veloce anche la stanza di Homer e si appresta a scendere giù in giardino quando scorge Lisa nella capanna intenta a dormire sulla busta di Bart.
MARGE: Lisaaaaa, Lisaaaaa. Che ci fai lì? (tra sé: proprio stamattina che avevo finito prima e potevo dedicarmi alla coltivazione del cavolfiore in giardino!)
LISA, svegliandosi improvvisamente: “Sono io, mamma. Stavo proprio ammirando il nuovo progetto di Bart. Il nuovo progetto di Bart???? La campanella!!!! È tardissimo!!!!
Lisa scende freneticamente dalla capanna e comincia a correre forsennatamente verso la scuola. Come risvegliata dal sonno capisce di aver fatto un terribile errore provando ad aiutare il fratello e ora ne sta pagando tutte le conseguenze. La bambina corre disperatamente lungo il marciapiede, passando sotto le gambe degli innumerevoli passanti, evitando magistralmente gli ostacoli sul suo percorso. Ma oramai mancano solo 2 minuti al suono della prima campanella…
Homer e Bart si sono rialzati subito dopo aver incontrato i Flunders. Bart è corso nella sua capanna e Homer si è arrampicato di nuovo su per il tubo, per raggiungere la stanza. Bart prende immediatamente il suo skateboard e la busta pesante. Vuole raggiungere, con il suo nuovo mezzo, il cortile della scuola prima che suoni la campanella, per essere vista dal maggior numero di persone possibili…
La busta piena di lattine di coca-cola è posata sul marciapiede. In mano, Bart tiene saldi 3 pacchetti di Mentos. Ogni lattina viene assicurata saldamente sul bordo inferiore dello skate. Bart, prima di partire, pronuncia queste parole:
BART: “Che il vento mi sia in poppa, che le vele siano gonfie, che la BART BULL diventi un razzo…”
una volta messe le 2 caramelle nelle lattine, Bart si da una fragorosa spinta con la gamba, ma questa non è necessaria. Lo skate parte velocissimo, schizzando tutti i passanti lungo il marciapiede. Il ragazzo va talmente veloce che poche centinaia di metri dopo incontra Lisa, quasi morta dalla stanchezza. Sono a due isolati dalla scuola. Bart la saluta trionfante (il suo piano è riuscito alla perfezione) e si avvia felice verso il cortile della scuola. Questo è pieno di studenti fino all’inverosimile. Anche i professori sono fuori. Tutti guardano con curiosità, qualcuno con desolazione verso la facciata superiore della scuola. Su di essa, o su quello che ne rimane, è “atterrata” la mongolfiera del sindaco Quimby, il quale cerca disperatamente di nascondersi dietro il corpo della ragazza bionda che gli faceva compagnia.
SINDACO QUIMBY: E’ solo un incidente di percorso, il cielo era troppo chiaro per restare a terra. E così io e la qui presente direttrice del corpo diplomatico russo abbiamo deciso di esplorare il paesaggio in cerca di nuove cavità naturali piene di petrolio!
Alla parola petrolio tutti i presenti lasciano da parte la ragazza nuda sulla mongolfiera e lo stesso sindaco in perizoma. L’intera platea si unisce in un unico grido di giubilo al dolce suono della parola petrolio, associando quella scoperta a soldi, soldi, soldi.
Bart, sorridente e superbamente felice in vista del cortile così pieno, arriva in disparte, senza essere notato da nessuno. Il suo stesso skate, una volta finita la miscela miracolosa, diventa un mezzo sputa coca-cola, fradicio e puzzolente. Lisa, qualche istante dopo arriva finalmente nel cortile, e, inzuppata di sudore, decide di restare in dispare come il fratello per evitare che qualcuno la vedesse arrivata in ritardo. I due fratelli non si uniscono alle urla generali, provocate dall’annuncio del sindaco Quimby.
Homer intanto cerca di arrampicarsi sul tubo per raggiungere il prima possibile la sua stanza da letto, prima che Marge lo scopra in giardino. La sua tunica bianca (il lenzuolo in realtà) si blocca in una vita del tubo, lasciandolo completamente nudo. L’elicottero della tv, proprio in quel momento sulla città in cerca di un fuorilegge, lo inquadra, focalizzandosi sulla sua faticosa salita verso la finestra. È un momento topico per la tv cittadina. Lo stesso annunciatore non crede ai suoi occhi:
MAI AVREMMO PENSATO DI TROVARLO IN QUESTA MANIERA!
Homer, ignaro delle riprese sul suo corpo, continua la sua scalata. Arriva faticosamente alla finestra, proprio nel momento in cui Marge sta sbattendo i tappeti. I due sposi si guardano, tremendamente scossi da quella vista, e ignari di essere guardati da tutta la città, si scambiano un bacio stile Spiderman.

Raffaele Nappi

giovedì 23 febbraio 2012

Bando di concorso per opere letterarie "NON SONO SOLO PAROLE"




È indetto il concorso per opere letterarie NON SONO SOLO PAROLE. Il tema è “Relazione tra realtà e fantasia”.
  1. ·         Le opere possono essere di qualsiasi genere (canzoni, racconti, storie, poesia e prosa) e vanno inviate entro la mezzanotte di DOMENICA 1 APRILE 2012 all’indirizzo joker18@hotmail.it oppure tramite contatto facebook in allegato (Raffaele Nappi).
  2. Ogni partecipante deve allegare al suo lavoro NOME, COGNOME, EMAIL, TITOLO E IMMAGINE. È possibile utilizzare uno pseudonimo in caso non si volessero far comparire a margine dell’articolo le proprie generalità
  3.  Ogni lavoro non può superare il limite di 10MILA BATTUTE, SPAZI INCLUSI.
  4.        Ogni opera sarà pubblicata sul blog http://meteosospeso.blogspot.com/ e avrà il massimo della diffusione possibile in internet. Tutte i lavori saranno pubblicati IN ORDINE DI CONSEGNA sul blog a partire da Lunedì 2 aprile e diffusi sui social network nel massimo delle possibilità.
  5.    Si riserva l’esclusione per i lavori che non hanno rispettato le norme sopraindicate.
  6. Il giorno 29 APRILE 2012 verranno proclamati i 5 finalisti, in base al numero delle visualizzazioni e alle valutazioni della giuria.
  7. Il giorno LUNEDI' 7 MAGGIO 2012 verrà proclamato il vincitore. Le visualizzazioni determineranno una TOP TEN all'interno della quale la giuria si riserva l'insidacabile facoltà di scegliere il vincitore.
  8. La giuria è composta da un numero DISPARI di selezionatori, in modo da non invalidare nessuna opinione. Valuterà le opere in base ai criteri di: CREATIVITA', STILE, ADERENZA AL TEMA, CAPACITA' COMUNICATIVA.
  9.      Si comunica che è vietato cliccare singolarmente sulla propria opera. L’autore del blog è in grado di individuare possibili violazioni e si riserva di squalificare IMMEDIATAMENTE dal concorso gli eventuali furbacchioni.
  10.    Il vincitore sarà contattato personalmente dall’autore del bolg per comunicare modalità e termini di riscossione del PREMIO.
  11.      È presente anche un PREMIO SIMPATIA che la giuria si riserverà di accreditare personalmente a un singolo lavoro.
  12.    Il giudizio della giuria è INSINDACABILE
  13. La partecipazione al concorso è ASSOLUTAMENTE GRATUITA.
Vi aspettiamo in massa per questa nuova esperienza.


Raffaele Nappi

martedì 21 febbraio 2012

Heand have no tears to flow - Le mani non versano lacrime


Il suono delle penna sul foglio. Quel graffio dolce cha bacia la carta, senza farle male. Il sudore delle mani sulla penna, strumento di vita e di morte, arma infallibile per secoli. La mente contro il bianco del foglio, un abisso da colmare e da vincere. I vecchi tempi sono passati come sempre, come tutti. Ma le sensazioni legate alla scrittura si sono trasformate, forse troppo velocemente. Oggi non siamo più noi a comandare; le righe determinano i nostri pensieri senza fantasia. Il nostro immaginario è stato rinchiuso e organizzato in un programma, che determina il flusso do pensiero e lo gestisce con severità. Secondo Elisabeth Eisentein la rivoluzione silenziosa della stampa, partita nel 1455 nella bottega di Magonza, ha modificato anche il modo di pensare delle nostre menti. La struttura lineare e simmetrica dei libri a stampa ha contribuito non poco ad una nuova organizzazione strutturale del pensiero umano, con nuovi codici e nuovi canoni. Lo stesso sta accedendo anche oggi, dopo l’enorme diffusione del computer come strumento vitale della quotidianità.

Chi scrive oggi colpisce la tastiera, con rabbia, forza, velocità; che scrive oggi batte i polpastrelli su un tasto, senza pensare ad altro. Che scrive oggi ha la possibilità di modificare sempre e comunque, di cancellare errori e orrori. Chi scrive oggi ha solo una partita da giocare: quella con lo schermo inquisitore che gli è di fronte.

Sul foglio di carta non resta che sognare. Disegnare lettere di grandezza non misurabile, divertirsi in giochi di linee senza regole, sgrammaticare volontariamente senza subire l’onta di una zigrinatura rossa che ha la presunzione di correggere tutto quello che capita. Chi scrive oggi sul foglio di carta è un anarchico, un sognatore, un conservatore, un perditempo, un amante perduto. “Lo scrittore di tastiera è un sergente , quello di carta è ancora uno scolaro.”*
*Erri De Luca.

PS: Confesso di aver scritto quest’articolo sulla tastiera, più per esigenze tecniche che per volere personale. Per un attimo, giuro, solo per un attimo mi è venuta voglia di sentire il rumore della penna sul foglio, scarabocchiando divinamente sopra la carta bianca. Non l’ho ancora fatto, ma la voglia mi rimane, eccome.

Raffaele Nappi


Le ricette dei Malaffamati: IL PORCO LATENTE



Il porco latente

Il vostro medico vi ha vietato la carne? Siete prossimi al periodo della quaresima e la sola idea che il venerdì non si mangi il maiale o qualche altra bestia quadrupede o bipede vi angoscia?
Non temete, con questa ricetta potrete farvi un bel contorno (magari accompagnando un purè corposo con parmigiano e burro) senza rimpiangere gli aromi sprigionati dalle merci che il vostro macellaio di fiducia vi spaccia usualmente.

Ingredienti

1 Carota
1 gambo di Sedano
1 piccola Cipolla
1 scatola di Lenticchie già lessate
3-4 cucchiai di Passata di Pomodoro
1 filo d'Olio
4-5  Foglie di Alloro


Procedimento

Pulite la carota, il sedano e la cipolla. Tritate tutti e tre finemente e poneteli in una casseruola a fuoco basso coperti da un generoso filo d'olio in modo da fare un bel soffritto e includete anche le foglie di alloro intere.
Appena la cipolla imbiondisce e gli altri ingredienti del soffritto hanno rilasciato il loro aroma nell'olio aggiunte la passata e lasciate cuocere qualche minuto.
Quando il sughetto ha un aspetto omogeneo è ora di aggiungere le lenticchie che lascerete cuocere mescolando di tanto in tanto per almeno 10 minuti dando loro il tempo di insaporirsi.
Se necessario durante la cottura aggiungere un po' d'acqua per impedire che si secchi eccessivamente (potete anche aggiungere altra passata se la preferite).
A fine cottura sistemate di sale e di pepe e rimuovete le foglie di alloro.
Voilà pronti per la tavola. Vedrete che l'alloro riuscirà a dare quell'impressione di carne (dal momento che l'alloro è principalmente utilizzato nelle cotture delle carni il vostro naso assocerà l'odore di quest'erba aromatica ad arrosti e spiedini).

Consiglio: Se il porco più che latente vi piace palese, che ancora vi grugnisce nel piatto, aggiungete una salsiccia sbriciolata grossolanamente prima della passata di pomodoro.

Le delizie di Francesca Piersanti

lunedì 20 febbraio 2012

Sempre x Sempre




La prima volta che ho visto il mare avevo due occhi di fronte a me. Ti ho pensato, ed eri lontanissima. La mente immaginava mondi paralleli in cui tu saresti stata la regina del nuovo impero. Eri lontanissima. Eri troppo diversa per essere mia. Eri un nube di gas troppo etereo per essere chiuso in un cuore pulsante. Gli angeli nell’immaginario pensavano ai tuoi pensieri come desideri celesti, tutti tremendamente migliori di ogni possibile aspettativa. Ogni tuo gesto era accompagnato da un mio sorriso, nascosto dentro di me. Potevi essere mia da sempre. Sempre. Sempre? Questa parola mette terrore nel cuore di molti; cos’hanno da temere? Hanno forse voglia di morire piuttosto che evitare il per sempre? E poi, quando muoiono, non è per sempre? Io, il mio per sempre l’ho intravisto solo per qualche sparuto attimo. Era lì, scintillante davanti agli occhi, provocato da qualche bacchetta magica della mente. Una sequenza di immagini; poche, in realtà. Solo dei lampi immaginari, frazioni di colori densi e sfumati allo stesso tempo, che si combinavano davanti ai miei pensieri attoniti. Squarci di vita futura, troppo brevi per essere ricordati da una mente razionale. Sono forse pazzo. Giuro di esserlo. Richiudete la mia mente tra sbarre, ma che siano dorate. E mentre mi porterete via griderò al mondo la Verità che mi ha condannato, quella che ha fatto di me un povero mentecatto marino esule sulla terraferma. Griderò fino a farmi bruciare la gola; urlerò di gioia e dolore. Le parole, poche, rimbomberanno sul monte del mondo, per tornare indietro beffarde e sorridenti. Tutti allora sapranno qual era la mia Verità. Tutti s’uccideranno dal rimorso, per aver incarcerato un cuore sincero. Tutti si commuoveranno. O forse nessuno. Ma io, intanto, avrò gridato al mondo che nel mio per sempre ci sei TU.

R.N.

domenica 19 febbraio 2012

Ciao, come va?




È una nota timida. Parte flebile, da lontano, come sussurrata. Mai volgare, si muove nell’aria, si allarga come nebulosa in espansione verso l’universo, e tocca il cuore delle anime. Vorrei… v. v.. vorrr.. No, forse lo dico dopo. Ma sì, lo dico. No, non ce la faccio. Vorre… vorr… No, non lo dico. La nota intanto è diventata un sottofondo piacevole ai miei sensi, e mi viene voglia di ascoltarlo. Allora, vorr… vorrei.. dire… ehm.. Ogni tanto la nota vibra, impaurita. Ma non scompare.  Un sacco pieno di timidezza sulle spalle; ma non ti pesa. Anzi, è proprio la tua forza più grande. La semplicità, quella nel ritmo e nelle parole, che è il punto di arrivo più difficile per gli oratori come te. Non starli ad ascoltare, non pensarli. Loro la vogliono mettere al bando la tua semplicità, dicono che è banale. Stai tranquillo. Resta sereno come hai sempre fatto. Resta sorridente. Sì, ma… io vorrei.. vorr.. vorrei dir..vorrei dire… lasciali stare. Non la senti la nota che ora si è unita alle altre? Non le vedi danzare nel vento, facendo l’amore. Note nude che non hanno vergogna del mondo. E gli altri? Gli altri sono accecati dalla tua semplicità, e non lo vogliono ammettere. Ascolta me. Ascolta questa musica che ora è così armoniosa. Mi rende allegra la mente. Come le tue parole. Ho capito..ma io vorre…vorr..ehm..vorrei dire ch… No, non dirlo. Mi basta sentire il rimbombo dei tuoi discorsi per essere sereno. Anche loro, adesso che non ci sei, sentono la mancanza delle tue parole. E allora resta in silenzio, solo il ricordo dei tuoi sorrisi abbraccerà i nostri, e faranno di nuovo l’amore. Sto sorridendo, Massimo, ma forse mi è scappata qualche lacrima. Perdonami, sai… l’emozione.


Stile Libero

Stile libero, stile di stile, lezione di stile. Una parola liscia che rende il cuore elegante. Dov’è lo stile? Cosa ne è rimasto? È forse un monologo spazzato da interminabili intervalli, è forse una danza, una parola incastrata al momento giusto, un pugno che fa nascere un sangue giustiziere. Lo stile. Cosa importa avere il mio stile? La massa lo attirerà a sé, colorandolo dei colori delle uniformi. Una vita senza stile non è degna di essere vita. Ogni piccolo uomo ha voglia di essere ricordato, anche per il suo piccolo stile. Come mangia, come ha parlato, come è morto. Come è vissuto durante il lampo che gli è stato messo a disposizione. Lo stile. Omero aveva stile. Kerouac pure, eccome se ce l’aveva. Ricordo le sue lezioni di jazz; le descrive come nessuno altro. Cantona ha stile. Fin troppo. Valentino Rossi ha stile, e lo avrà ancora. Zeman ha stile. Il mare ha stile, così maledettamente silenzioso. Ogni uomo può decidere di avere stile. Io, il mio, confesso di cercarlo ancora. È una battaglia continua tra la mente e il sé in cui nessuno esce vincitore. Ogni tanto, però, i due si incontrano, lontano dagli sguardi latrati degli Altri, e sorridono abbracciandosi. Ecco, in quell’istante, in quel preciso istante, ho solo l’impressione di avere un po’ di stile.

R. N.

sabato 18 febbraio 2012

La morte e la bolla di sapone



Sento battere qualcosa. È un buon segno. Significa che qualcosa dentro di me è ancora vivo. Sono un tronco di cristallo che gratina sul cemento, rotolandosi in aghi acuti che somigliano a coltelli. Qualcuno, ubriaco, passa, e magari mi dà pure un’occhiata. Non è la mia ancora a cui aggrapparmi, non lo è. Lo sguardo del passante non mi crea conforto perché non costruisce sopra i miei capelli una nuvola calda. Non lo fa. Quello che mi servirebbe adesso è solo una piccola bolla di sapone, talmente piccola da chiudersi attorno al polso di una mano. La prenderei per farle conservare il mio cuore. Lo sento, batte ancora. Deve essere lui. Magari qualcun altro sarà felice ascoltando le parole di un cuore ancora vivo in un corpo morto per strada. Magari no. Il vento che ho sempre amato mi sta uccidendo. È un calcio sulle ossa ad ogni folata, è un brivido distruttivo, è un’emorragia continua di sangue e emozioni. Sto perdendo le parole, i sensi, i significati del mondo e delle azioni. Ciò che mi resta è un piccolo cuore, ancora in vita, che ricorda i miei ricordi. Sento che mi sto abbandonando a questo gelo. Sento che non riesco più a distinguere tra caldo e freddo. Un’ultima folata mi ghiaccia il respiro. Vedo l’aurora. Vedo luce. Vedo il cuore fermarsi. È lì, piccolo e irriducibile, che danza nell’aria nella sua trepidante bolla di sapone. E muoio felice.

Raffaele Nappi

venerdì 17 febbraio 2012

Lettere dal futuro

Qualche giorno fa, in un cassetto di un'antica villa, è stato ritrovato un cofanetto. La sua vista nascondeva un contenuto prezioso. Una volta aperto gli spettatori hanno trovato davanti alle loro pupille migliaia di parole assemblate in lettere mai spedite. Una di esse recitava cosi...









I tappeti si srotolano come marciapiedi che salgono verso il paradiso; il cielo torno a baciarci con i raggi del sole. Le nuvole si accoppiano nell’aria, fin quando non arriva la notte a spegnere la luce. Il vento smuove gli alberi, li accarezza. Le auto trasmettono elettricità per le strade. C’è l’attesa, c’è. E quest’anno c’è un sentimento di gloriosa serenità pensando a quello passato. Il paragone è distrutto. Non regge. Il buio è arrivato con dolcezza, sussurrando al mio cuore gocce di pace. I fiori, stanotte, resteranno al gelo. Fa freddo. Ma i pensieri degli uomini ancora umani li riscalderanno quel poco da far trasformare il ghiaccio in brina, rendendoli argentati. Buon 12 amico caro, ti scrivo ma so che sono io a parlare con l’immaginario.



mercoledì 15 febbraio 2012

Lettera di un bambino egiziano

Finalista Concorso giornalistico "Angelo Maria Palmieri"


Anche questa mattina sta per andare via. Se ne andrà di nuovo ed io rimarrò senza il mio compagno di giochi, studierò il mio libro da solo, guarderò in silenzio il televisore. Sono mesi che va avanti questa storia. Spesso ogni mattina, appena mi alzo, lui è già andato via, il letto ancora disfatto, la sua parte di camera in completo disordine. Poster, fogli sparsi sul comodino, volantini appiccicati ai muri, sciarpe coloratissime. Non so se da grande vorrei essere come lui, forse non mi piacerebbe tutto questo baccano. Sono un tipo ordinato io. Non mi piace tutto questo chiasso per le strade, mi fa paura. Vorrei uscire a giocare, come quando facevo con lui appena qualche mese fa. E invece, ogni volta che torna il sole, lui è già lontano. Non so cosa fa quand’è fuori casa. Forse gioca anche lui con i suoi folli amici a guardie e ladri. Li rincorrono con i carri armati, loro si disperdono, qualcuno cade. È questo quello che mi racconta sempre mio padre quando vedo queste immagini alla televisione. È solo un gioco, mi ripete. Ma io vorrei smettere di giocare così. Vorrei andare a vedere il mare, per una volta, insieme a lui. Vorrei saltargli sulle spalle mentre passeggiamo per la città, vorrei finirla di guardare la tv da solo. Quando torna a casa, spesso è notte. Qualche volta la porta non s’è aperta per tutta la notte e ho sentito i miei genitori parlare sotto voce, mia madre piangeva. Ieri sera, come un miracolo è tornato prima, all’ora di cena. Mia madre ha preparato il piatto della domenica, per festeggiare. Aveva le lacrime agli occhi. A tavola tutti gli chiedevano cosa facesse tutto quel tempo fuori casa. Gli occhi gli brillavano. La notte è stata dura chiudere occhio. Quando stamattina stava per andarsene di nuovo mi sono fatto coraggio. Una volta per tutte. Ho smesso di far finta di dormire mentre lui si preparava e gli ho gridato:
«Perché mi lasci solo, perché non mi porti con te? Dove vai, fratello, tutte le mattine? Dove passi tutto quel tempo?» Lui mi ha guardato con un sorriso fiero sulle labbra, il volto sereno: «Vado a fare la rivoluzione – mi ha risposto – Vado a fare la rivoluzione».

Raffaele Nappi

martedì 14 febbraio 2012

Io e Dio



-          Sa, penso che lei debba farsi sentire di più.
-          Lei dice?
-          Certo. A volte è difficile starle dietro.
-          Mi dispiace, ci soffro.
-          Lei, ci soffre? Può provare la sofferenza? Lei sa cosa significa sofferenza?
-          Certo che lo so. Io soffro più di quanto lei pensa.
-          Certo, è difficile a pensarsi.
-          Deve sforzarsi. È il rumore d fondo che ti distrae.
-          È così tremendamente bello…
-          Deve smetterla di ascoltarlo. Non deve guardare l’orizzonte ma il dettaglio.
-          Nel dettaglio non la vedo. Riesco solo a pensarla quando catturo l’orizzonte.
-          Stia tranquillo. È l’errore che fanno quasi tutti. Pensare al resto…
-          Il resto è la mia vita.
-          Io le dico che il resto della sua vita non è che una minima parte dell’orizzonte.
-          Mi è difficile crederla.
-          Io non ci scommetterei. La vedo titubante.
-          Sono titubante, lo ammetto. È lei a rendermi nervoso.
-          Nervoso? Non deve pensare alla mia compagnia. Sono solo un punto.
-          Un punto? E perché?
-          Indistinto.
-          È quello che mi fa più arrabbiare di lei!
-          È quello che mi rende più felice di voi.
-          Perché non si rivela in un posto e basta?
-          È così divertente sorprendervi quando meno ve l’aspettate.
-          Lei è più simpatico di quanto pensassi.
-          C’avrei scommesso.
-          Perché, se mi posso permettere?
-          Perché vi conosco come le mie emozioni più vere, eppure mi sorprendete ogni volta.
-          Noi? Sorprendiamo Lei? Non scherziamo!
-          Se solo poteste sapere.
-          Cosa?
-          Sa tenere un segreto?
-          Spero di meritarlo. Mi sconvolgerà?
-          Temo proprio di sì. Lo vuole ancora sapere?
-          Temo di no.
-          Io glielo dico lo stesso. Anche io ho bisogno di voi.
Silenzio.
-          Mi ha sentito?
-          Cosa?
-          Come cosa? Il segreto.
-          Ecco, mi sono distratto un’altra volta.
-          (Meno male. Penso che nessuno lo saprà mai.)
-          Ora basta darsi del lei.
-          Se lo dice lei.

-          Andiamo?
-          Andiamo.

domenica 12 febbraio 2012

My darling you



-          Ci conosciamo?
-          Mi conosci. Sono io.
-          Dimmi il tuo nome, non ti riconosco.
-          Sono quella che cerchi ogni notte, quando vivi nei tuoi sogni.
-          Non mi dire questo. Sai che piango tutte le mattine.
-          Perché non riesci mai a ricordarti di me?
-          Non lo so. Non chiedermelo. È il mio errore più grande.
-          Come devo fare per parlarti davvero?
-          Lo vorrei anche io.
-          Vorrei stringere il tuo corpo nelle mie mani.
-          Anche io.
-          Vorrei soffiare sui tuoi capelli.
-          Anche io.
-          Vorrei picchiarti pur di sentirti mia.
-          Vorrei fosse vero.
-          Perché non mi lasci entrare, con la luce, ogni giorno?
-          Perché te ne vai, con la luce, ogni giorno?
-          Lasciami entrare.
-          Vieni, ti aspetto da sempre.
-          Entro
-          Vieni.
-          Perché non riesco a vederti?
-          Io sono qui.
-          Dove?
-          Eccomi, non mi vedi? Sono davanti a te.
-          Fatti toccare.
-          Toccami.
-          Perché non riesco ad abbracciarti?
-          Io sono qui, fallo.
-          Non ci riesco. Non ce la farò mai.
-          Sto venendo verso di te. Ora puoi abbracciarmi. Chiudi gli occhi.


-          Ora ti sento.
-          Siamo vicini.
-          Non lasciarmi.
-          No, non ti lascio.

Ogni notte un uomo cerca di abbracciare la sua musa. Lei è bellissima, superbamente divina. Lui, per alcuni, è un povero pazzo. Qualche notte, però, l’incontro è reale. E allora il povero pazzo diventa l’uomo più felice del mondo.