domenica 29 gennaio 2012

Confessioni segrete



Sì, è la mia vita, e la amo. Vivo circondato dal nero, e dal silenzio. Gli sguardi fuori delle pantere vorrebbero essere tutti puntati su di me; che sensazione stupenda. Mi sento una tigre in una gabbia dorata, un angelo di cristallo, con le frecce pronte nella faretra. Il mio silenzio può mozzare una vita, dispongo di ogni potere su questa terra. I destini della mia città si avviluppano nelle mie membra tozze e disarmate, che reggono la rabbia di chi fa ormai questo mestiere da anni. Non ricordo l’ultima volta in cui ho visto il sole. È stato, forse, in una giornata primaverile di qualche anno fa. Era bello. Ora, tutto quello che mi rimane è alla mia portata e si trasforma in un mondo a mia disposizione. Cosa mi manca quando con un semplice gesto tengo in pugno il cuore della gente? Chiudo gli occhi e immagino il futuro: ogni mio desiderio è possibile. Ogni mio nemico può diventare una testa sanguinolente posta sul mio piatto d’argento. Ogni bambino mi adora, ogni mamma vorrebbe amarmi, ogni donna vorrebbe possedermi. Non ho niente da chiedere a questa vita, perchè va oltre ogni minima previsione. La mia immaginazione è stata disarmata da questa realtà. Non potevo sperare di meglio.
Solo qualche attimo, giuro, solo qualche attimo, mi viene voglia di uscire fuori e guardare la luce del sole, per sorridere stringendo le braccia di mio figlio.

venerdì 27 gennaio 2012

L'abisso della storia


C’ho provato. Vi giuro che c’ho provato. Quanti scrittori prima di me l’hanno fatto. Quanti di loro hanno raccontato la propria storia, quella dei parenti morti e derisi come agnelli sacrificali, quanti si sono addentrati nelle miniere dell’animo umano, fino a scavare nella radice, per capire. Non riesco a capire, non ce la faccio. Perdonatemi per questo mio limite. Ho provato a descrivere la storia di un ufficiale nazista, dall’interno, dal suo punto di vista. Credo sia umanamente impossibile. Non rientra nelle mie competenze. Non sono riuscito a entrare in quella mente, in quella concezione logica di razza e supremazia, in quella gerarchia senza storia. Perdonatemi, comprendetemi. Penso che nessuno riuscirà mai a spiegare quanto successo con esattezza, il linguaggio non si potrà mai avvicinare, nemmeno lontanamente, al pianto dei bambini deprivati delle loro madri, agli occhi denudati di dignità di milioni di persone. Penso che ricordare, oggi, metta ancora più rabbia di quanto c’è n’è in giro. Non riesco a ricordare senza bruciarmi. Voglio pensare che sia stato solo un abisso nero e infinito che ha colpito la mente della storia per qualche anno e basta. E basta. Il ricordo brucia troppo, preferisco guardare solo il fumo. E pensare che non sia delle ossa bruciate di cadaveri che un giorno erano uomini, vivi.

martedì 24 gennaio 2012

La profetessa tradita


Ascoltatemi, ascoltatemi. Perché io dico solo la verità.

Mi sputò in bocca, fu questo ciò che fece. Nessuno ne parla mai, forse perché è un dettaglio inconsueto, strano, rude per il suono e per il gusto. Lui era un dio, ma adesso ne è rimasto il nome, solo quello, sbiadito in qualche libro malmesso. Nessuno più sa, nessuno ricorda come lui fosse veramente, o come fossi io. Ve lo racconterò, ma non mi crederete. Non angosciatevi per questo, non è colpa vostra. Lui era il sole di Oriente e Occidente, era il fulgore che galoppava nel cielo durante il giorno. Alcuni lo conobbero come Aplu, altri come Sol Invictus; io, troiana di nascita, da sempre lo chiamai Febo. Proprio quel dio si innamorò di me, e io a lui rimasi avvinghiata. Febo mi insegnò ogni cosa, mi benedisse gli occhi e nella mia mente cominciarono a fluire passato, presente e futuro. Divenni Cassandra la profetessa.
Ma fu quella la rovina che mi consumò da dentro: non mi concessi a lui, è vero. Dopo aver appreso il dono, vidi cose terribili accadere dalla mia unione con il dio, così rimasi casta. Lui si arrabbiò, gli dei allora erano umani capricciosi che giocavano con l'uomo come con dei burattini. Acquistai la capacità di vedere tutto, ma persi quella di poter salvare la mia famiglia, l'uomo che amavo, la mia stessa vita.
Nessuno mai mi ascoltò, vidi in silenzio mia madre morire quando lei ancora camminava beata nei giardini, guardai la mia città bruciare e assistetti a ciò ferma: l'immobile preda del mio destino. Fu il Destino che divenne la mia condanna: costretta ad essere una profetessa inascoltata in una patria che sapevo destinata a morire. Quando Aiace mi stuprò, ancora chiedevo l'aiuto della dea; quando mi portarono di forza sulle loro navi, giacevo inerme innalzando preghiere silenziose all'Olimpo. Il silenzio, solo il silenzio da quegli dèi presuntuosi e inarrivabili. Non una punta di compassione per il destino della sventurata Cassandra. Agamennone fu l'ultimo corpo straziato che vidi, il suo accanto al mio. Vidi Clitemnestra e il suo amante assalirci e piantare a entrambi il pugnale in petto ben prima di sentirlo affondare nella carne. Odiai il futuro e odiai il presente, ma, lo giuro, io sorrisi a quell'ultima visione.
                                                                                          Ventana

Il ladro gentiluomo


La dignità ha sempre un valore cangiante
Il volto era già coperto prima di mettersi in azione. Nero, come la notte, in pieno giorno. Solo due fessure si distinguevano sulla faccia, rivelando quegli occhi tremanti e paurosi. La pistola in pugno, giocattolo. Il passo sincopato, come una gazzella morente. La scena fu breve e diretta, come girata da un gran regista al cinematografo. Un uomo, col volto nero, entrava in uno stabile affollato, porgeva tremante la pistola verso chi lo guardava, cercando soldi, soldi, soldi. La voce non era determinata, i gesti arruffati, ogni suo movimento emanava indecisione. Gli sguardi che si mischiavano col suo parevano biglie impazzite e rabbiose che gli attraversavano l’animo in cerca della giustizia. Lo scopo fu raggiunto, la rapina portata a termine. Ma nulla impedì al ladro gentiluomo di arrossire deliberatamente sotto quella tela nera che gli copriva la faccia avvampata dalla vergogna.
Quella sera un uomo rientrò nella sua abitazione, mentre fuori il gelo continuava il suo regno inattaccabile dell’inverno. L’uomo, lacrimante, poggiò una busta bianca quasi rotta sulla tavola, senza salutare nessuno. La moglie lo aspettava dal mattino, ansiosa. Lui si diresse immediatamente nella stanza da letto, al quarto piano di un condominio senza ricchi. Salutò la bambina distesa sul letto che aveva tutti i suoi ritratti, le accarezzò follemente il viso senza svegliarla e aprì la finestra.
Trovò il vuoto ad accoglierlo, pieno di quella dignità che aveva perso la mattina nell’edificio affollato.

Pensieri



Il bagaglio è pronto ma nessuno lo tiene stretto nelle mani. Alla stazione non c'è nessun treno in partenza. La vita è ferma, come vento gelido, come ghiaccio d'inverno che si somma ad altra neve. E' il presente, gelido, delle emozioni sgonfiate di amore. E' il desiderio di vendetta che non abbadona il mondo, in una notte senza fine.

lunedì 23 gennaio 2012

Il Dio del Caos


Le lucciole danzano in silenzio sulle loro teste. Le posizioni sono già ricoperte nella loro perfetta disposizione di guerra. Le lance squartano il cielo nero, gonfio di rabbia. La pioggia cade a goccioloni densi come proiettili, carichi della collera degli dei. L’urlo di orrore dà il via al gioco macabro. Due corse continue e opposte si sfidano in una olimpiade di velocità che ha come vincitrice solo l’urto. È il rumore di cozzaglie a dominare il ventre della terra, lì, su quell’appezzamento contadino che pian piano si colora di rosso denso. Uomini contro altri uomini danno vita al fragore dell’universo, la manifestazione prima e pura della potenza umana. Le teste volano abbandonando i propri corpi, le braccia racchiudono nella loro forza vitale il germe dell’energia elementare. Il campo diventa un palcoscenico su cui i protagonisti sono i vivi che rimangono in piedi, ancora ansimanti. E mentre le urla si confondono nella musica dello scontro le anime dei guerrieri si elevano pochi metri sopra di loro. È un’ascesa divina che avvicina il cielo alla terra, abbassando l’orizzonte. Si erge, sul trono delle anime, il dio del caos. È felice, e guarda i suoi figli lottare tra loro, fin quando non arriverà la morte a racimolare tutti i resti della battaglia.

sabato 21 gennaio 2012

Auguri, campione!

Questa te l'ho scritta tre mesi fa, quando sei partito.
Quando lo vedi da lontano sai che è lui; è stato sempre così. Quel casco di capelli indisciplinati ti facevano sorridere ancor prima di conoscerlo, ancor prima di ascoltare il suo sorriso. E poi la voce, buffa, squillante, quasi sarcastica, che aggiungeva sorrisi a sorrisi. Il destino gli ha riservato la carta più crudele proprio nel momento in cui si stava divertendo. Quella moto gli gasava il cervello come nessun altro. La mente sprofondava in spazi sconfinati quando sotto il culo giravano 500 cavalli. Meglio attimi così che una vita di noia, certo. Ma non doveva finire. La gente voleva continuare ad aprire la bocca davanti a uno schermo, voleva sorridere ancora guardandoti avvicinarti da lontano, voleva divertirsi ascoltando il tuo sorriso. Ora ti sei goduto quei giorni al massimo ma hai lasciato un debito enorme nel cuore di molti italiani. Quella casella di partenza sarà per sempre vuota. Quelle gare non saranno più le stesse senza il campione bambino che salutava tutti e che a tutti sorrideva. Non lo dovevi fare Marco. Il talento non ti ha lasciato scampo. Non fare sorpassi troppo azzardati lassù, non entrare troppo forte in curva, non mettere troppa cattiveria nelle manovre. Continua a volare alto SuperSic, magari impennando, magari continuando a sorridere.

Sogni d'un maestro


Le spalle sono rivolte al pubblico, senza rancore. Gli occhi di quarantadue volti lo seguono ad ogni gesto, impazienti. La musica non è ancora cominciata ma il maestro è già sul palco. Lui, vestito del nero più elegante della notte, immerso nella saggezza dei suoi sfiniti capelli bianchi. Non perde vigore, lui, il maestro. Non cerca nuovi successi di critica, non vive per quelli. Non ama sentire l’ovazione del pubblico a fine spettacolo, quando per un attimo è silenzio, solo silenzio; poi c’è baccano. Uno schioccare di mani volgare che non esprime il suo amore per la musica, quella vera. Ha passato una vita immerso tra le righe di uno spartito, il maestro. Nemmeno quando mangiava scatolette di latta s’è maledetto; il suo sogno musicale ha dominato la potenza dello spirito, incatenandolo alla speranza. Ora, ora che si trova immerso nel silenzio, sulla posizione precisa del palco, le spalle rivolte al pubblico, gli occhi di quarantadue volti che lo guardano, lui, il maestro, si sente a casa. Piange e ride, ma non si piega. Si gode ogni singolo battito di quel silenzio come gocce d’oro che illuminano il suo cuore. Ci siamo. La mano comincia a muoversi. No, aspetta ancora il maestro, si gode fino all’ultima stilla d’oro quelle particelle di secondi. Il maestro fa l’amore col tempo. Poi, come ogni cosa che sia matura in primavera, decide di ritornare a vivere nel mondo dei sogni, dove le sue idee si trasformano in musica pura, e pura armonia. Le mani danzano leggere, senza essere controllate dal cervello. È l’idillio raggiunto sulla terra grazie all’imitazione del suono umano. È l’apocalisse musicale. È la consacrazione del successo. Il maestro si volta per inchinarsi, ripetendo il gesto più volte. Ringrazia il suo pubblico troppo caloroso, in ogni singolo orecchio che ha partecipato alla creazione del mito musicale umano. È commosso il maestro, nasconde il suo viso al pubblico. Si guarda intorno, pieno di commozione. C’è il vuoto ad abbracciarlo, e la strada piena di passanti somiglia a un palco oramai abbandonato.

venerdì 20 gennaio 2012

Megavideo chiuso? Si scaricherà solo merda


Il momento è arrivato come un fulmine inatteso. Sono appena le 23 e 42 quando il mio compagno di stanza mi comunica che è stato chiuso. Basta. Il gioco è finito. Come cazzo ci sono riusciti? E' un server, non possono farlo, non ci credo. Non ci riusciranno mai. Stai a guardare tu stesso. Non ci credi? Megavideo è chiuso, CHIUSO! Quei bastardi sono riusciti a trovare il sitema. Addio pubblicità, addio guadagni. Addio vita comoda del cazzo. Ci faranno un culo così se ci acchiappano quelli della polizia postale. Questi sbirri del cazzo. Ma io non mi faccio beccare così, guarda come te lo dico. Non ci faremo beccare così. Questo computer del cazzo non lo troveranno mai, a costo di infilarmelo nel culo. Non ci troveranno. Cambieremo tutti i nostri nominativi, non possono farci niente. Niente. Me l'aspettavo ormai, ma non adesso.

Ebbene sì, la notizia è giunta e pure molto grossa. Nonostante sia dell'idea che le vie dell'illegalità siano infinite oggi possiamo dire di aver compiuto un primo, grande passo. MEGAVIDEO, il terrore dei produttori, ha smesso di inficiare il mercato cinematografico mondiale. Chi di noi non l'ha mai usato una volta? Forza, alzi la mano. E ognuno, in quel momento, sapeva di campiere un atto assolutemente illegale. Nessuno s'è fermato: tutti staccavano il collegamento dopo 72 minuti. E ancora, e ancora. Dieci, cento, mille film. Illegali. Dalle 23 e 42 il mondo è cambiato. L'aspetto democratico e democratizzante della rete ha visto per la prima volta un ostacolo più grande di lui. Una barriera difficile da superare. Sono sicuro che gli hacker di tutto il mondo siano già al lavoro per offrire nuove possibilità ai consumatori che già tentano il suicidio senza i loro servizi spacciati per diritti, ma il precedente s'è ormai creato. Da oggi gli hacker quando sentiranno parlare di scaricare sarà solo per la puzza del bagno.

mercoledì 18 gennaio 2012

E poi ancora in alto, con un grande salto

Un uomo, un pirata.


Anche le salite si inchinavano a lui. Anche le montagne che ti respingono, quando la ruota si attacca all’asfalto e il terreno ti spinge all’indietro, cappottato. Quel folletto solitario, quel campione triste, quell’uomo che più uomo non potrebbe essere, ha dominato la storia. I bambini ricordano ancora il suo nome, come se fosse leggenda. Un pirata danzante che volava sulle pendenze di tutto il mondo. Quando gli altri andavano in difficoltà lui era lì, primo e sofferente. Le mani basse, sul manubrio. Lo sguardo addentato verso la strada, l’espressione di stanchezza. Il sudore appiccicato alla maglia che ne sbiadiva il colore. Prima rosa, poi gialla. Un intero anno s’è inchinato al suo passaggio, applaudendo silenzioso al traguardo.  L’impossibile ha visto cadere il suo primato di fronte a lui. Le strade si riempivano di sguardi, tutti addosso ad una sola bicicletta che passava veloce, magari solo per un istante. Anziani e piccoli, madri e figli trascorrevano i pomeriggi d’estate provando a sognare grazie alle sue pedalate, accompagnando col respiro del cuore le vittorie memorabili. Non esiste salita che non sia abbinata a lui. Ogni tanto, di notte, qualcuno vede un pirata montare sulla bicicletta e prendere a salire verso le montagne più buie. Qualcuno giura di averlo visto, qualcuno ha avvisato già la polizia. Non tremate, non temete. E se mai vi capiterà di rivederlo siate fieri di aver assistito a una pedalata nella storia.

martedì 17 gennaio 2012

La città di notte

A tutti quelli che dormono sotto le stelle

La notte arriva con la sua lentezza celebre. Non spaventa nessuno, nemmeno le rondini che disegnano nell’aria al tramonto figure incomprensibile alla ragione umana. Le strade sono piene di anime dotate di ricchi portafogli, che ballano nella macabra danza dell’acquisto, davanti agli occhi rossi di chi chiede loro gli avanzi. Sono invisibili. Sono i fantasmi del giorno e i morti della notte. Sono quelli che non hanno nulla di meglio da fare che restare sulle proprie ginocchia in attesa di un suono metallico che riempia la propria ciotola. Gli invisibili di giorno vorrebbero scomparire al calar della sera. Gli angeli della notte passano piangendo sopra le loro anime distese sul Pantheon delle capitali della terra. Il tetto è circolare e vuoto, tremendamente vuoto. Il freddo arriva a fiotti di lame dorate che li trafigge lentamente, squarciando il loro dolore. Nessun cielo, nemmeno un maledetto appezzamento di cielo in questa maledetta terra riesce a chiudere le porte sopra di loro. Non gridano, ma muoiono lentamente, sotto brandelli di lana che hanno strappato addosso ai cani delle signore. E mentre la città dorme il cielo si riempie della musica divina della loro morte. Una mano arriva solenne, si cala a prendere gli assiderati. Quelli che vedono l’alba sono i più fortunati.

lunedì 16 gennaio 2012

Lacrime di vittoria


A guerra finita il silenzio torna a battere. I movimenti diventano lenti, come impossessati da un rallentatore inumano. Le lacrime che scendono dal cielo, a fine battaglia, sono leggere e cadono senza rabbia. Si appoggiando dolcemente al sangue sparso sul terreno, ai corpi straziati, a quelli che stanno per varcare le soglie dell’inferno. Cade, la pioggia. Cade ma non li bagna. Li accarezza. Il vento arriva ad accompagnare il loro cammino santo nel paradiso demoniaco dove Satana è pronto a baciarli tremendamente orgoglioso del loro sangue appena versato. Qualche anima è già partita, qualcuna no. Il generale resta solo, abbracciando il suo elmo distrutto. Non c’è più nemmeno il suo fedele scudiero alle sue spalle. Tutti si sono inginocchiati a terra, vincitori e vinti, sconfitti dalla maestà della guerra. Il generale, lui, agonizza. Respira a fiotti, il sangue che gli attraversa la gola voglioso di guardare la pioggia. È arrivata la fine, anche per lui. È arrivato l’angelo della morte, pronto a trasportarlo negli abissi eterni, più neri del nulla. Ma lui, il generale, vuole salutare con un’ultima vittoria questa terra che ha dominato fino alla sua battaglia definitiva. Volge il capo dall’altra parte, verso l’orizzonte nero. Sa che quello è il ricordo del mondo che si porterà per l’eternità. Soddisfatto imbraccia la sua spada, raccoglie tutta la sua energia ancora in vita per un solo gesto, unico e sontuoso. Alza il pugno, e piange.

domenica 15 gennaio 2012

Il sonno divino


La domenica sta quasi per accogliere il tramonto, sento dalla finestra le grida azzurre dei bambini che giocano. Il ricordo al passato ritorna vivo. La mia musa riposa prima della battaglia. È l’aspettare, dolce, del silenzio nella tenda, quando a parlare è la solitudine che ti attanaglia il cuore e sai che nessuno potrà mai abitarlo come te. La lancia è quasi pronta, le potenzialità sono enormi. Vivo nutrendomi dei nostri paradisi immaginari e futuri senza meta se non i tuoi occhi.

La nave addormentata

La sera era piena di luci, un brillantio infuocato tra i singhiozzi sonnolenti del mare. Tutto il personale si preparava alla prima cena, con l’ansia di un ballo di gala, l’aspirazione di un gattopardo pronto alla dominazione del mondo. La musica cominciava a salire di tono, l’atmosfera era unicamente frizzantina come una canzone folk adornata di balli improvvisati. Le pietanze si nascondevano ancora nelle sale dei cuochi con tutti i loro profumi ad addentare l’aria in cerca di palati con cui fare l’amore. I bambini guardavano gli oblò immersi nei loro sogni; i grandi si godevano il sogno di una vita. La prima notte stava passando come un immaginario fantasticato da tempo immemore.
Il boato fu accolto da uno spaparanzio di palati degno di un rigore calciato alle stelle. E poi la paura, i ricordi cinematografici, le grida verso i bambini. Tutta la città viaggiatrice sul mare si affacciò alla finestra dell’oceano, benignamente preoccupata della notte improvvisa ma fiduciosa dell’invincibilità della nave padrona.
La situazione è peggiorata in pochi secondi. Le scialuppe hanno cominciato a danzare nel buio, penzolando sulle teste della borghesia colta; i salvagente sono diventati biscotti su cui i cani si accaniscono, mordendosi a vicenda can la carne penzolona dalle viscere, cruda.
Un bambino, al centro delle camminate spasmodiche nella città metropolitana galleggiante sul mondo, si tocca i capelli, girando il capo da un lato all’altro. Ha perso di vista i suoi genitori, le grida che pullulano nell’aria gelida della notte non chiamano il suo nome. Continua a girarsi come una gru, scrutando tutte le facce che scappano dal suo raggio d’azione per dirigersi verso una barchetta rossa vuota, ancora libera. È la solitudine a possederlo. Resta in silenzio, il bambino. Non sa che fare. A un tratto comincia a camminare. Muove i primi passi lenti, trasversali. Gli occhi sono chiusi. Raggiunge la barriera, il bambino. Guarda ancora il buio dei suoi occhi, le pupille che si muovono agitate sotto le palpebre. Tira il respiro e si tuffa. Nel vuoto schiumoso.

venerdì 13 gennaio 2012

Leggerezze elettriche

A noi
I marciapiedi si arrotolano mentre camminiamo verso l’universo, su una salita senza sforzi. Il sudore si trasforma in una goccia di paradiso in cui è riflesso il destino di ogni uomo, senza rancore. I ricordi si mascherano da bambini e ci vengono a salutare, stringendosi le mani. I sorrisi diventano nuvole evaporate in lacrime piene di sospiri. E la pioggia comincia a scorrere come un fiume silenzioso, e ci prende alla sprovvista nel suo andare senza sosta verso un punto che nessuno sa dove finisce. La mano che ci tiene uniti è una roccia pietrificata da millenni che uno speleologo è venuto a cercare nel cuore della terra. Mentre saliamo verso l’azzurro ci scambiamo sorrisi senza tempo, senza misura, senza dimensioni umane. Il percorso di ondula di luci e colori dolci, che si addensano in una danza semioticamente indistinguibile dall’infinito. E la musica rende l’atmosfera piena di suoni che non colpiscono il corpo, ma il cuore; lo strappano dall’animo di tutti gli individui dell’umanità e lo portano davanti a noi, immergendolo nelle nostre sembianza. Ecco, siamo solo due spiriti che guadagnano l’universo con una camminata di leggerezza inusitata, iniettata di divinità. Gli spiriti ora affiancano il nostro salire, follemente innamorati delle emozioni che emaniamo, e i bassi rimbombano nella scatola dello spazio infinito e nero ma mai buio. La cadenza dei passi cambia impercettibilmente quando, senza accorgersi di nulla, scopriamo che la salita s’è dilaniata in un “puff” senza preavviso, e ci immergiamo nelle acque blu notte così profonde da ingoiare il mondo e tutte le balene che custodiscono bambini nel loro ventre. Ma il freddo non ci tocca; siamo accalorati dalle onde che improvvisamente sono nate dal centro dell’oceano e, gioioso, cominciamo a cavalcarle senza tavole di sotto i piedi, ma solo con il mare, mare nel mare, acqua con l’acqua, infinito con infinito. Le percezioni del tempo e dello spazio si fondono in un flusso continuo di emozioni. Non sappiamo chi siamo e dove siamo, cosa eravamo in un passato così lontano da sembrare dimenticato. Forse la morte è così dolce da sembrare un cavalcata verso il paradiso su di un’onda alata e calda, invece che un tunnel nero e sotterraneo. Non ci penso. Non so nulla di me. Non esiste uno specchio in questa eterna dimensione di luce. Ma so che il mio peso è svanito in una leggerezza che non ha limiti. E guardandoti danzare sulle onde, sui tramonti incantanti, capisco che sono un’aurea anch’io. Eternamente divini e indivisibili.

Il trono del mondo

Il racconto che state per leggere è tratto da una storia vera
Non c’è pace prima di una battaglia. Non ci sono momenti allarmanti prima che venga l’oceano a distendere il suo giudizio definitivo sul mondo e sulle cose. Era questo il pensiero di Juma, massacrato nella sua prigionia quotidiana, senza motivo di capire la realtà fuori da quelle sbarre. È la vita, è la vita, ripeteva una voce vecchia e stanca alle sua spalle, che  sembrava rassegnata alla verità, saggia più di lui. Juma, 40 anni, impiegato bancario, onesto cittadino, padre affettuoso, marito lodevole, traditore impeccabile, amante focoso, non se lo spiegava. Era stato chiuso in quella cella durante la notte di Natale del 2012 e nessuno gli aveva dato una risposta. Il motivo. Era quella la sua preoccupazione principale riuscire a scoprire il motivo. Non sapevo che fine avesse fatto la sua famiglia, sua moglie, i suoi piccoli. Si vergognava a non aver paura per loro ma della sua pellaccia vecchia, stremata dal lavoro giornaliero, dalla vita perfetta che aveva avuto di fronte fino a pochi giorni fa. La cella ridimensionava il suo mondo di sogni futuri, i suoi progetti per gli altri, le buone azioni che avrebbero salvato la sua coscienza al tribunale delle anime. Non riusciva a spiegarselo, voleva una soluzione a tutti i costi, anche rischiando la vita. Durante i primi giorni di prigionia cercò disperatamente di affacciare il suo capo triste fuori dalle sbarre, cercando di vedere qualcuno in quel corridoio. Schiantò l’orecchio su ogni pietra della sua cella, in cerca di un vuoto, di un rumore che gli confermasse una presenza umana all’interno di quella maledetta vita. La voce del vecchio in una stanza a fianco fu una scoperta divina la prima volta; una liberazione dalla solitudine eterna, almeno questo. Ma la voce esprimeva solo condanne, rassegnazione, a volte si rifletteva gioiosa nelle canzoni che inondavano di suoni il corridoio solitario. Nulla gli restava. Juma era ancora più solo di prima, anche in compagnia di quella voce. Non vedeva una via di scampo, o forse sì.
Quando Juma morì il suo corpo non fu sepolto da nessuno. Nessuno si degnò di accompagnarlo verso il viaggio eterno. Fu trovato incastrato nelle sbarre della sua cella, ghiacciato dal freddo. Non aveva retto alla voglia di guardare verso l’infinito. Il sole non riuscì a riscaldarlo per ridonargli la vita. Rimase lì, come una scultura perfetta rivolta al mondo, per l’eternità.
Ci furono molte morti del genere. Le carceri del mondo erano piene di uomini e donne che non si spiegavano la realtà da che parte fosse diretta. Tutti si trasformarono in angeli di ghiaccio, e quando arrivò la primavera si sciolsero in rugiada umana, al suono di una voce divina chiamata emozione.
La spiegazione c’era, eccome. Il mondo fuori s’era trasformato in un’Utopia che nessuno avrebbe mai potuto immaginare, nemmeno il più fantasioso Giordano Bruno, neanche Campanella e la sua mente lucente. Il potere era nelle mani di un gruppo unico ma vastissimo, milioni e milioni di individui si concentravano nelle dinastie dei secoli e dominavano l’umanità. I bambini di tutte le facce della Terra, quella scura che nessuno ammette, e quella lucente che tutti vedono splendere di organigrammi; i bambini della Terra avevano preso il potere. Dominavano loro il Mondo. Senza preavvisi, senza scrupoli. Giocavano tra loro e ridevano tutto il giorno, mentre sedevano sul trono terrestre. Ma non furono clementi con gli uomini del loro tempo. Li condannarono a diventare rugiade umane, statue di cristallo, perfette e intoccabili. L’Umanità si rinnovò in una generazione nuova. E i cieli si unirono sotto un unico sorriso.

mercoledì 11 gennaio 2012

I'll fix you

Il sole era già alto, anzi stava proprio cominciando la sua gloriosa discesa verso gli abissi della notte. È stato tutto così inaspettato da sembrare follemente disegnato da una mano d’artista. La musica ha cominciato a sussurrare dolcemente, senza il permesso. Ma c’era. E continuava ad esserci in forma divina. La velocità scuoteva i miei occhi, rendendoli irrequieti al passare dei paesaggi. Gli alberi si mischiavano tra loro, in un’atmosfera fiabesca. I brividi hanno cominciato a pulsare dalla testa, per scendere giù, fino alle scarpe, e ancora, e ancora, e ancora… La decisione era ormai presa. Non so ora, non so quando, ma io ti proteggerò.

domenica 8 gennaio 2012

Benvenuto


Il suono è basso, lento ma ritmato; arriva da lontano. Il battito del tamburo ritma il ritorno alla vita. È una musica dolce che accompagna l’uscita dal guscio, la luce novella e mattutina. Svegliarsi col sole alle finestre, con la stanza irradiata da raggi dorati che aprono il sorriso nella mente. È passato troppo tempo oramai speso in questo guscio, la mia casa e la mia protezione. Ecco, la musica cresce, cresce senza respiro, tuona sulle corde della mia anima, spinge la mente a creare una lacrima, inconsapevolmente stupenda. Il tamburo, l’incontro dello strumento col piano, il suono, sempre più forte, più cadenzato, più dolce. Si spacca qualcosa; sono le crepe della mia anima. È la vita che entra nel suo raggio, è il sole che si presenta mattutino, si affaccia sorridente come un elfo domestico che hai scoperto esistere dall’inizio dei tempi. I violini non accompagnano la scena, ci sono solo tamburi, ritmi, mani che baciano le pelli scuoiate della natura. Ecco. È silenzio. Un momento impercettibilmente infinito che non si lascia andare alla realtà del mondo. È fantasia, pura fantasia. Quell’attimo di secondo rimarrà sempre nella mente di chi lo ha vissuto, di tutta la memoria dei cittadini del mondo. Nascosto negli angoli più timidi delle anime, provocheranno sorrisi soddisfatti, produrranno consapevolezza. Io esisto, e vivo per sorridere. Il guscio infranto è solo il mio passato, e lo sarà sempre, orgogliosamente mio. Ma d’ora in poi mi nutrirò di luce. Quella dorata che addolcisce il risveglio, quella spumeggiante, quella elettrica nel cielo quasi notturno. Quella che buca le nuvole, che gioiose si spalancano di fronte alla regina. Quella che mi fa compagnia anche quando è buio, quando nel cielo ci sono solo lacrime. Ecco, sono tornato in vita. La musica ora è dolcemente animosa, spinge la mia mano in una danza inesprimibilmente sazia di armonia. E la mano vola libera nel cielo dei miei occhi, davanti all’aura delle persone che amo. La mia nuova patria è il coro del mondo. Benvenuto.