venerdì 13 gennaio 2012

Leggerezze elettriche

A noi
I marciapiedi si arrotolano mentre camminiamo verso l’universo, su una salita senza sforzi. Il sudore si trasforma in una goccia di paradiso in cui è riflesso il destino di ogni uomo, senza rancore. I ricordi si mascherano da bambini e ci vengono a salutare, stringendosi le mani. I sorrisi diventano nuvole evaporate in lacrime piene di sospiri. E la pioggia comincia a scorrere come un fiume silenzioso, e ci prende alla sprovvista nel suo andare senza sosta verso un punto che nessuno sa dove finisce. La mano che ci tiene uniti è una roccia pietrificata da millenni che uno speleologo è venuto a cercare nel cuore della terra. Mentre saliamo verso l’azzurro ci scambiamo sorrisi senza tempo, senza misura, senza dimensioni umane. Il percorso di ondula di luci e colori dolci, che si addensano in una danza semioticamente indistinguibile dall’infinito. E la musica rende l’atmosfera piena di suoni che non colpiscono il corpo, ma il cuore; lo strappano dall’animo di tutti gli individui dell’umanità e lo portano davanti a noi, immergendolo nelle nostre sembianza. Ecco, siamo solo due spiriti che guadagnano l’universo con una camminata di leggerezza inusitata, iniettata di divinità. Gli spiriti ora affiancano il nostro salire, follemente innamorati delle emozioni che emaniamo, e i bassi rimbombano nella scatola dello spazio infinito e nero ma mai buio. La cadenza dei passi cambia impercettibilmente quando, senza accorgersi di nulla, scopriamo che la salita s’è dilaniata in un “puff” senza preavviso, e ci immergiamo nelle acque blu notte così profonde da ingoiare il mondo e tutte le balene che custodiscono bambini nel loro ventre. Ma il freddo non ci tocca; siamo accalorati dalle onde che improvvisamente sono nate dal centro dell’oceano e, gioioso, cominciamo a cavalcarle senza tavole di sotto i piedi, ma solo con il mare, mare nel mare, acqua con l’acqua, infinito con infinito. Le percezioni del tempo e dello spazio si fondono in un flusso continuo di emozioni. Non sappiamo chi siamo e dove siamo, cosa eravamo in un passato così lontano da sembrare dimenticato. Forse la morte è così dolce da sembrare un cavalcata verso il paradiso su di un’onda alata e calda, invece che un tunnel nero e sotterraneo. Non ci penso. Non so nulla di me. Non esiste uno specchio in questa eterna dimensione di luce. Ma so che il mio peso è svanito in una leggerezza che non ha limiti. E guardandoti danzare sulle onde, sui tramonti incantanti, capisco che sono un’aurea anch’io. Eternamente divini e indivisibili.

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