venerdì 13 aprile 2012

Anche le stelle diventano vento



Nella foresta nera un vecchio incontrò una bambina senza capelli.
Dove sono finiti i tuoi capelli? Le chiese il vecchio.
Li ho persi.
Come li hai persi?
Continuò curioso.
Giocando a carte.
Non ci credo.
Rispose subito il vecchio. Posso anche essere vecchio ma non rimbambito.
Ti dico la verità, e, che tu ci creda o meno, lasciami passare.
Il vecchio, avendo trovato un modo per far trascorrere il tempo, andò più a fondo.
Dimmi chi ti ha ridotto così.
La bambina restò in silenzio.
Portami da lui. Le disse subito il vecchio.
I due, come gli estremi che si danno la mano, si incamminarono nella selva.
Nessuno li vide passare.
Quando giunsero alla porta di una piccola casa, adornata da graziose finestre riccamente colorate, la bambina si nascose istintivamente dietro il suo compagno di viaggio.
Cosa succede?
Ho paura
.
Chi ti ha fatto questo? È qualcuno dentro quella casa?
La bambina rimase in silenzio, nascosta.
Il vecchio bussò. Poi, senza aver ricevuto nessuna risposta, decise di entrare.
La porta non fece cigolii, l’ombra non ricoprì l’anima di nessuno. C’era il sole in quella stanza; tutto era grazioso. I raggi entravano sorridenti dalle finestre semiaperte, riflettendo una calma senza timore.
Il vecchio si girò verso la piccola bambina alle sue spalle. Non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto dell’accaduto. La bambina era scomparsa. Il vecchio uscì fuori. Velocemente. Si aggrappò alla porta, ma della bambina niente. Nessuna scia, nessun’impronta. Non un segno, non uno sbuffo di vento da inseguire. Il vecchio cominciò a piangere. Solo. Si accasciò dolcemente sulle membra stanche, abbandonandosi alla vita. Proprio in quell’istante un batuffolo lo raggiunse. Erano capelli. Macchie di capelli a grappoli che si libravano nell’aria.
Dimmi dove sei, ti prego! Dimmi dove sei!
Il vecchio tornò nel bosco, correndo. Il suo respiro, ora, non era affannato.
Si fermò proprio nel punto in cui aveva incontrato quella bambina senza capelli. E lì, in quell’attimo d’oro, i suoi ricordi finalmente diventarono reali. Era lui, imbalsamato in vestiti verdi e slabbrati, con in dosso un fucile nero come una perla assassina, e correva, correva, correva verso il Tet e verso gli ordini. Non poteva tornare indietro, non poteva neanche voltarsi. Il suo obbiettivo era il sole in cima a quella maledetta montagna. E quando una pallottola colpì il suo ventre non si rese conto di nulla. Cominciò a rotolare come un porco morto, come un sacco inerme. E ad ogni pietra conficcata nella carne il suo pensiero andava a Kim che lo aspettava sulla poltrona di casa con una croce in mano, e alla madre, e al padre oramai centenario, e alla figlia dai capelli dorati che tanto aveva sognato. Quando sentì le pale degli elicotteri fendere il vento capì di essere vivo. Lo stavano trasportano in elicottero all’ospedale da campo. Per lui la guerra era finita. Ma ciuffi di capelli dorati continuarono a vorticare per sempre intorno alla sua anima, lì, nel vento, nei mulinelli trovati appena girato lo sguardo. Quei capelli gli si attorcigliarono al cuore per sempre, anche quando diventò vecchio, e rimase solo. Col cuore dorato da un sogno vivo solo nella fantasia.

Raffaele Nappi

Nessun commento:

Posta un commento