In un piccolo paese del Perù viveva una famiglia di
contadini. Lavoravano tutti, padre madre e figli. Pan, era la più piccola. La
gente del posto non aveva mai visto una bellezza così forte, quasi pericolosa.
Lavoravano dalla mattina alla sera, senza un attimo di sosta. Con quello che guadagnavano a stento riuscivano a vedere le stagioni passare. Un timido giornalista passò di lì insieme alla sua troupe, avido di storie da raccontare all’altra parte del mondo. Il ragazzo aveva studiato anni e anni sui libri dell’università, ma sul campo aveva qualche problema a rapportarsi con gli altri. Semplicemente balbettava. Si avvicinava con timore all’intervistato e gli poneva con riverenza le sue scrupolose domande, pronto a registrarle immediatamente sul suo taccuino e nella sua mente.
Lavoravano dalla mattina alla sera, senza un attimo di sosta. Con quello che guadagnavano a stento riuscivano a vedere le stagioni passare. Un timido giornalista passò di lì insieme alla sua troupe, avido di storie da raccontare all’altra parte del mondo. Il ragazzo aveva studiato anni e anni sui libri dell’università, ma sul campo aveva qualche problema a rapportarsi con gli altri. Semplicemente balbettava. Si avvicinava con timore all’intervistato e gli poneva con riverenza le sue scrupolose domande, pronto a registrarle immediatamente sul suo taccuino e nella sua mente.
Quando vide la famiglia il ragazzo rimase ancor più
imbalsamato. Era immobile, quasi sembrava scemo. Erano gli altri, adesso, a
porre le domande a lui. si ritrovò adagiato su un letto di paglia, guardando il
soffitto di una lurida stanza. Si alzò di scatto, tremante. Aveva perso la sua
troupe, non ricordava dove fosse il taccuino con il registratore. Era completamente
spaesato in un paese senza confini. Cominciò a guardarsi intorno. Il pavimento
era quasi nero; sembrava il piano di una stalla. Le pareti erano graffiate in
più punti, la finestra quasi penzolava. Sì alzò in cerca di qualche figura
umana. Cercò una porta dove trovare rifugio al suo batticuore. E lì, dietro
quel solco, vide, per la seconda volta nella stessa giornata, l’elemento che gli
cambiò la vita.
Una figura snella,
quasi eterea. La sua pelle scura rimbombava maledettamente bene contro il panno
giallo che le drappeggiava il corpo. Lo sguardo, fermo e orgoglioso, rivelava la
fierezza di una bestia. I capelli scuri le macchiavano il capo, come una
cascata di acqua limpida sulla pietra levigata. Il cuore di quel timido
giornalista esplose in mille e mille battiti, improvvisi e inseparabili. Inarrestabili.
Quel piccolo ragazzo partito per girare il mondo, per scappare alla ricerca di
una verità che era solo in fondo a se stesso, si innamorò. Successe tutto all’istante,
senza un destino ad architettare le carte, senza un preavviso opportuno. Il cuore
non resse. Galoppava senza sosta verso l’ostacolo, e lo superava ad ogni
momento, ad ogni salto. Il battito sussultava in un moto accelerato perpetuo,
insaziabilmente affamato. Cadde a terra, privo di sensi. Si bloccò all’istante,
ingozzato di vita, quel cuore. Rimase tremante per un grappolo di attimi in
quel corpo scosso sul pavimento. Poi, con un ultimo fremito, si spense per
sempre. Rimase contrito in una morsa strana, avviluppato su se stesso.
Il corpo del giornalista timido fu sepolto nel campo di
quella povera famiglia. Al momento della sepoltura una belva dallo sguardo
nero, coperta da un drappo giallo, piangeva silenziosamente. Forse anche lei
aveva voglia di innamorarsi.
Raffaele Nappi
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