lunedì 26 settembre 2011

Scherzi incrociati


Il signor Morleo avevo impiegato tutta la vita per raggiungere l’obiettivo: diventare un dottore. Quella riverenza, quella potenza che l’avrebbe circondato ad ogni suo passo lo coccolava nei suoi pensieri meno leciti ma più agognati. Aveva sacrificato tutta l’infanzia, per non parlare dell’adolescenza. Restava a casa ogni qual volta c’era la possibilità di una passeggiata con un conoscente, rapito dal raptus di conoscenza e dall’ardore di crescita. Doveva farcela. E ce la fece. Ricorda come il secondo appena passato l’istante in cui fu nominato, letteralmente, per la prima volta Dottore in Medicina e Ortopedia.

Dottore, finalmente. Dottore, dottore, dottore. Salve dottor Morleo! Salve a lei signora. Mi scusi dottor Morleo, non si preoccupi, non mi disturba signore.
La vita s’era livellata sul piano sequenziale degli eventi, senza scosse, senza ripensamenti.
Quel giorno, il dottor Morleo, stava visitando un vecchio orgoglioso, finito con il culo per terra a forza di camminare tra una stanza e l’altra senza l’aiuto, meschino, del bastone. Quel bastone era la sua vergogna, la testimonianza terrena del fallimento venuto in compagnia dell’età. L’orgoglio, solo quello rimaneva a colmare un corpo oramai tremolante e rugoso.

Quel giorno, quella visita fu più normale del solito. Un’operazione di routine, non troppo rischiosa. L’ennesima dimostrazione al mondo delle capacità di vittoria che la volontà può raggiungere. L’operazione arrivo, ed anche il successo scontato. Complimenti dottor Morleo, lei mi ha rassicurato! È stata una sciocchezza signora, è andato tutto per il meglio. I valori sono nella norma e, nel giro di qualche giorno, vostro marito potrà tornare finalmente a casa.
L’ennesima vittoria, l’ennesima consolazione riuscita. L’ennesima opera di bene. Sarà proprio il paradiso ad attendermi. Non potranno fare diversamente!

Il signor Diogene tornò a casa, addirittura un giorno prima dalla data prestabilita. Per lui tutto era diverso, ora che una lunga e lenta riparazione lo aspettava nel resto dei suoi piagnistei. Ora, oltre al bastone, ci sarebbe stata una orribile sedia a rotelle sotto il suo sedere appena calcificato. Una vergogna ancora più grande di quella precedente. La prima sera tutto trascorse nella norma. Solo un singhiozzo accennato, timido, sussurrava alla notte di trascorrere presto. Quel singhiozzo, non era di una donna.
Tutti i figli erano tornati da ogni angolo per sincerarsi delle condizioni del capofamiglia, e, la mattina seguente, la casa era piena di domande preoccupate. Come stai, come ti senti? Sono stato così in pensiero! Diogene voleva solo essere lasciato in pace, con la sua vergogna mischiata al dolore. Tutti i figli, decisero di rimanere per qualche giorno, prima di tornare agli angoli della terra. E per l’occasione la stessa sera si preparò una festa enorme per celebrare la guarigione del Papà. Solo a quel pensiero, il signor Diogene sentì tutto il suo orgoglio salirgli per la gola. La rabbia si concentrava nelle sue vene, mischiandosi al sangue oramai lento. Voleva solo stare in pace. E soprattutto, in silenzio. Silenzio.

La sera arrivò prima del previsto, e tutti i preparativi furono ultimati a tempo di record. Il signor Diogene però, accecato dalla rabbia o dalla paura, non riuscì a sollevarsi dal letto, rimanendo immobilizzato nella posizione meno signorile della storia. Era il punto limite. I figli, decisi oramai a non lasciare tutto intentato, si spostarono nella sala accanto e, sommessamente diedero inizio alla celebrazione. La benedizione arrivò dallo stesso signor Diogene, che, immediatamente dopo però, fu lasciato solo, all’oscurità nel suo letto, a favore dello spettacolo del secolo sulla tv.

Gli sguardi erano tutti rapiti da quelle immagini così immaginate da diventare reali per ognuno in maniera diversa. Tutti vedevano la propria realtà riflessa in uno schermo. Era semplicemente fantastico. Nessuno però si accorgeva che, contemporaneamente, un piccolo singhiozzo, simile a quello della notte precedente, si immergeva timidamente nel silenzio della stanza vuota e buia, all’altro lato della parete.
Quelle urla, quegli schiamazzi pieni di divertimento, avevano avvilito il capofamiglia. Il signor Diogene non riuscì a tollerare una vergogna simile,e, una volta che le feci bagnarono il suo letto, se ne andò in Paradiso o in un posto simile.
Le grida, solo 5 minuti dopo, si fecero ancora più forti, guidate dal terrore sovrano nelle menti dei figli. Un padre, completamente sulla via della guarigione, morto inspiegabilmente in un letto delicato nel momento del riposo. Era tutto senza spiegazione. Fu proprio il figlio più grande a balenare la prima idea di vendetta. Era proprio colpa del dottor Morleo, era solo questa l’unica spiegazione possibile. Ci doveva essere stato un errore durante l’operazione, nascosto da quel piccolo dottor così timido ma altrettanto attaccato alle guarigioni come vittorie.

Qualche notte dopo, solo qualche notte dopo, il dottor Morleo fu svegliato in sonno da una telefonata inaspettata…
Il processo fu breve e sensazionale. Ma come, proprio il dottor Morleo? Non ci credo! Era una così brava persona!
A non crederci fu lo stesso piccolo dottore, quando il giudice pronunciò le parole della sentenza.


Oggi, dopo 13 anni, c’è stato un decesso nel carcere della città. Un dottore, un piccolo dottore di nome Morleo, è stato sopraffatto dalla malattia, o forse dalla vecchiaia. Era una persona rispettabilissima, ma fu condannato all’ergastolo. Dicono che non abbia mai tentato di ribellarsi a questa sentenza. Dicono che non abbia mai proclamato la sua innocenza. Dicono che pochi istanti prima di morire, abbia sussurrato al silenzio un singhiozzo timido e rassegnato.

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