Sento battere qualcosa. È un buon
segno. Significa che qualcosa dentro di me è ancora vivo. Sono un tronco di
cristallo che gratina sul cemento, rotolandosi in aghi acuti che somigliano a
coltelli. Qualcuno, ubriaco, passa, e magari mi dà pure un’occhiata. Non è la
mia ancora a cui aggrapparmi, non lo è. Lo sguardo del passante non mi crea
conforto perché non costruisce sopra i miei capelli una nuvola calda. Non lo
fa. Quello che mi servirebbe adesso è solo una piccola bolla di sapone, talmente
piccola da chiudersi attorno al polso di una mano. La prenderei per farle
conservare il mio cuore. Lo sento, batte ancora. Deve essere lui. Magari
qualcun altro sarà felice ascoltando le parole di un cuore ancora vivo in un
corpo morto per strada. Magari no. Il vento che ho sempre amato mi sta
uccidendo. È un calcio sulle ossa ad ogni folata, è un brivido distruttivo, è
un’emorragia continua di sangue e emozioni. Sto perdendo le parole, i sensi, i
significati del mondo e delle azioni. Ciò che mi resta è un piccolo cuore,
ancora in vita, che ricorda i miei ricordi. Sento che mi sto abbandonando a
questo gelo. Sento che non riesco più a distinguere tra caldo e freddo.
Un’ultima folata mi ghiaccia il respiro. Vedo l’aurora. Vedo luce. Vedo il
cuore fermarsi. È lì, piccolo e irriducibile, che danza nell’aria nella sua
trepidante bolla di sapone. E muoio felice.
Raffaele Nappi
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