Antakya è la base turca da cui partire. Per raggiungere la Siria non c’è altro modo oggi. I controlli del governo azzerano il lavoro dei giornalisti. Molti, fotoreporter e giornalisti, incoscienti e coraggiosi, entrano nel paese solo grazie all’aiuto di amici vicini alla resistenza. Valicano il confine da clandestini, senza sapere se torneranno mai ai loro campi base.
Arrivano, parlano sottovoce, scambiano impressioni con i miliziani che reggono nelle mani kalashonkv carichi a manetta. Intervistano, aprono gli occhi, ascoltano i suoni e i dati della morte.
Si avvicinano ai combattenti, annusano il loro respiro assetato di libertà e vendetta. Si muovono con loro sulle auto, per le strade ribelli, tra i cecchini e le bandiere della patria. Quando arrivano a Homs le pupille si dilatano, e non per il fumo. Incontrano padri soli, case sventrate da mortai, bambini che vagano alla ricerca di pietre che nascondano i corpi dei loro genitori. Ascoltano. Le parole che provengono da quelle anime sono squarci di grida.
I bombardamenti sono cominciati alle 8 di sera. Il quartiere più colpito è stato quello di Kalidiya con 26 case rase al suolo. Le famiglie erano tutte all’interno, tremanti. Più di 130 morti solo in quella porzione di città fantasma. E poi altre bombe, altri baci di morte piovuti dal cielo. I corpi ammassati nelle moschee, che puzzano di cadavere e malattie, anticamere della tomba. Vogliamo solo la libertà.
Loro, i giornalisti partiti da lontano, quelli che non hanno nulla da perdere o forse tutto, trasformano le emozioni in notizie, le parole in dati. I morti diventano numeri accatastati sui loro taccuini, nient’altro che numeri.
4.000 i civili uccisi dall’inizio delle violenze
256 i bambini, morti
45 le bambine, morte
347, i morti dell’ultimo bombardamento
256 i bambini, morti
45 le bambine, morte
347, i morti dell’ultimo bombardamento
Quando la penna accarezza il foglio il rumore rimane impresso. Qualcuno li scrive con rabbia, senza guardarli. Qualcuno non ci fa caso. Qualcuno si ferma a ricordare che quelle parole contengono una vita, più vite, migliaia di vite, ricordi e speranze dei bambini, sogni di pace dei loro padri, lacrime di speranza delle donne. Qualcuno piange pensando a questo.
Il 3 febbraio 2012 la storia della Siria ricorderà la giornata più sanguinosa dall’inizio delle violenze. Le organizzazioni mondiali non riescono a intervenire. Manca la volontà, mancano le forze, o, forse, manca il petrolio.
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