Il racconto che state per leggere è tratto da una storia vera
Non c’è pace prima di una battaglia. Non ci sono momenti allarmanti prima che venga l’oceano a distendere il suo giudizio definitivo sul mondo e sulle cose. Era questo il pensiero di Juma, massacrato nella sua prigionia quotidiana, senza motivo di capire la realtà fuori da quelle sbarre. È la vita, è la vita, ripeteva una voce vecchia e stanca alle sua spalle, che sembrava rassegnata alla verità, saggia più di lui. Juma, 40 anni, impiegato bancario, onesto cittadino, padre affettuoso, marito lodevole, traditore impeccabile, amante focoso, non se lo spiegava. Era stato chiuso in quella cella durante la notte di Natale del 2012 e nessuno gli aveva dato una risposta. Il motivo. Era quella la sua preoccupazione principale riuscire a scoprire il motivo. Non sapevo che fine avesse fatto la sua famiglia, sua moglie, i suoi piccoli. Si vergognava a non aver paura per loro ma della sua pellaccia vecchia, stremata dal lavoro giornaliero, dalla vita perfetta che aveva avuto di fronte fino a pochi giorni fa. La cella ridimensionava il suo mondo di sogni futuri, i suoi progetti per gli altri, le buone azioni che avrebbero salvato la sua coscienza al tribunale delle anime. Non riusciva a spiegarselo, voleva una soluzione a tutti i costi, anche rischiando la vita. Durante i primi giorni di prigionia cercò disperatamente di affacciare il suo capo triste fuori dalle sbarre, cercando di vedere qualcuno in quel corridoio. Schiantò l’orecchio su ogni pietra della sua cella, in cerca di un vuoto, di un rumore che gli confermasse una presenza umana all’interno di quella maledetta vita. La voce del vecchio in una stanza a fianco fu una scoperta divina la prima volta; una liberazione dalla solitudine eterna, almeno questo. Ma la voce esprimeva solo condanne, rassegnazione, a volte si rifletteva gioiosa nelle canzoni che inondavano di suoni il corridoio solitario. Nulla gli restava. Juma era ancora più solo di prima, anche in compagnia di quella voce. Non vedeva una via di scampo, o forse sì.
Quando Juma morì il suo corpo non fu sepolto da nessuno. Nessuno si degnò di accompagnarlo verso il viaggio eterno. Fu trovato incastrato nelle sbarre della sua cella, ghiacciato dal freddo. Non aveva retto alla voglia di guardare verso l’infinito. Il sole non riuscì a riscaldarlo per ridonargli la vita. Rimase lì, come una scultura perfetta rivolta al mondo, per l’eternità.
Ci furono molte morti del genere. Le carceri del mondo erano piene di uomini e donne che non si spiegavano la realtà da che parte fosse diretta. Tutti si trasformarono in angeli di ghiaccio, e quando arrivò la primavera si sciolsero in rugiada umana, al suono di una voce divina chiamata emozione.
La spiegazione c’era, eccome. Il mondo fuori s’era trasformato in un’Utopia che nessuno avrebbe mai potuto immaginare, nemmeno il più fantasioso Giordano Bruno, neanche Campanella e la sua mente lucente. Il potere era nelle mani di un gruppo unico ma vastissimo, milioni e milioni di individui si concentravano nelle dinastie dei secoli e dominavano l’umanità. I bambini di tutte le facce della Terra, quella scura che nessuno ammette, e quella lucente che tutti vedono splendere di organigrammi; i bambini della Terra avevano preso il potere. Dominavano loro il Mondo. Senza preavvisi, senza scrupoli. Giocavano tra loro e ridevano tutto il giorno, mentre sedevano sul trono terrestre. Ma non furono clementi con gli uomini del loro tempo. Li condannarono a diventare rugiade umane, statue di cristallo, perfette e intoccabili. L’Umanità si rinnovò in una generazione nuova. E i cieli si unirono sotto un unico sorriso.
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