Ho paura. Mi tremano le mani. Mi trema
il cuore. Sono distesa faccia a terra e, se qualcuno potesse vedermi, direbbe
che sto quasi pregando. I pensieri volano nel mio cervello come pipistrelli
neri e oscuri che svolazzano tra i neuroni e i capelli, portando terrore. È
forse questa la paura? Gli altri mi urtano, li vedo scappare in ogni direzione.
C’è confusione. Forse, c’è paura. Fuori, il caos. Qualcuno corre su, spinto
dall’istinto di fuga o di lotta o di terrore o di rabbia, o di qualsiasi
sentimento che sia concepibile dalla mente umana. Il mio corpo è in
fibrillazione, l’anima lotta per fuggire, la vedo che si spinge in avanti, la
vedo declinarsi in mille forme, tutte fuori da me. Sento voci di lamenti e di
rabbia, che rendono l’aria piena di lettere nere. C’è confusione. Anche in me. Non so che fare. Scappo, mi alzo, mi
fermo; salgo al primo piano, poi riscendo. Le scale mi fanno paura, e poi sono
piene di gente. Nel caos intorno a me guardo i miei vestiti. Che buffi. Ho comprato questa maglia a
Dublino, lo ricordo ancora. E il bracciale, poi, che spasso la storia del
bracciale. Persi una nave pur di portarlo via da quel mercato marocchino.
Il caos, ora, mi fa da conforto. Sento che mi protegge. Fuori regna la potenza
delle cose. Sento i colpi al cancello, sento il rombo di un camioncino. Sento battiti alla porta. Sempre più
forti, sempre più forti. Le grida aumentano. Ora so che cos’è la paura. Il mio
sguardo si posa di nuovo verso il basso. Quella
cicatrice, quanti ricordi. Sì. Ero con mia sorella sull’altalena. Caddi
all’indietro con braccio su una pietra che aveva deciso di stabilirsi proprio
lì sotto. Ogni volta che ci penso mi viene da sorridere. Sto sorridendo
anche ora. Alzo lo sguardo. Appena in tempo. Sono entrati. E ce n’è uno proprio davanti a me.
Questa è Diaz!
Raffaele Nappi
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