Intanto, lungo il corridoio, appeso alla parete, il vecchio caro tabellone a numeretti impazziva di fronte alle direttive dei capi. Qualcuno, passando, non ha trattenuto un sorriso.
venerdì 27 aprile 2012
Caos alla Stazione Termini
Intanto, lungo il corridoio, appeso alla parete, il vecchio caro tabellone a numeretti impazziva di fronte alle direttive dei capi. Qualcuno, passando, non ha trattenuto un sorriso.
mercoledì 25 aprile 2012
La caduta degli dèi
C’è un giocatore solo al centro del campo. È piccolo. Ha la
maglia alzata sopra la testa; forse sta tentando di nascondere il suo volto al
pubblico. Vicino, i compagni hanno facce tristi. L’arbitro ha da poco fischiato
la fine dell’incontro. Il giocatore, protetto dalla sua immensa finitudine,
vorrebbe scomparire. I giornali parlano già di tradimento. Meno male che lui,
ora, non può leggerli. Rimarrebbe così deluso. È vero, ha sbagliato un rigore,
forse quello decisivo. L’ha mandato sulla traversa. Che dire. Non è come l’Altro,
tutti lo sanno. Che dire, un pezzo di legno ha fatto rimbalzare con perfetta
simmetria una sfera di cuoio davanti a migliaia di persone rimaste deluse. E sorprese.
Capita. Anche agli dèi. E quando scendono in terra forse ci rendiamo conto di
quanto ci servirebbero. E di quanto ci sono mancati.
Raffaele Nappi
lunedì 23 aprile 2012
Di cosa parliamo quando parliamo di c...
Fili aggrovigliati in una giungla di pensieri, aggrappati
tra di loro per non perdersi. Anime che si consolidano in un tondo riccio
dorato, dove al riflesso la luce scivola come un bambino felice. Una massa
ordinata e candida, avvolgente e imperiosa, fluttuante quando fa a cazzotti con
il vento e brillante quando incontra l’acqua. Piccoli mondi uniti che si
tengono stretti e ci tengono compagnia, sempre, anche quando non ce ne
accorgiamo. Invisibili ma potenti simboli di indipendenza e ribellione. Protettori
fulgidi dei nostri pensieri più intimi. Cascate delle nostre lacrime, tettoia a
contatto con la sfera celeste, candidi fulmini sparsi sul mondo interiore. Sulla
terra non ce n’è uno senza. Almeno alla nascita. E chi li perde rimane col
rimpianto di una volta, col ricordo ancora intatto di quando una mano riusciva
ad afferrare piccole increspature sul mare del mondo.
Raffaele Nappi
sabato 21 aprile 2012
Diaz!
Ho paura. Mi tremano le mani. Mi trema
il cuore. Sono distesa faccia a terra e, se qualcuno potesse vedermi, direbbe
che sto quasi pregando. I pensieri volano nel mio cervello come pipistrelli
neri e oscuri che svolazzano tra i neuroni e i capelli, portando terrore. È
forse questa la paura? Gli altri mi urtano, li vedo scappare in ogni direzione.
C’è confusione. Forse, c’è paura. Fuori, il caos. Qualcuno corre su, spinto
dall’istinto di fuga o di lotta o di terrore o di rabbia, o di qualsiasi
sentimento che sia concepibile dalla mente umana. Il mio corpo è in
fibrillazione, l’anima lotta per fuggire, la vedo che si spinge in avanti, la
vedo declinarsi in mille forme, tutte fuori da me. Sento voci di lamenti e di
rabbia, che rendono l’aria piena di lettere nere. C’è confusione. Anche in me. Non so che fare. Scappo, mi alzo, mi
fermo; salgo al primo piano, poi riscendo. Le scale mi fanno paura, e poi sono
piene di gente. Nel caos intorno a me guardo i miei vestiti. Che buffi. Ho comprato questa maglia a
Dublino, lo ricordo ancora. E il bracciale, poi, che spasso la storia del
bracciale. Persi una nave pur di portarlo via da quel mercato marocchino.
Il caos, ora, mi fa da conforto. Sento che mi protegge. Fuori regna la potenza
delle cose. Sento i colpi al cancello, sento il rombo di un camioncino. Sento battiti alla porta. Sempre più
forti, sempre più forti. Le grida aumentano. Ora so che cos’è la paura. Il mio
sguardo si posa di nuovo verso il basso. Quella
cicatrice, quanti ricordi. Sì. Ero con mia sorella sull’altalena. Caddi
all’indietro con braccio su una pietra che aveva deciso di stabilirsi proprio
lì sotto. Ogni volta che ci penso mi viene da sorridere. Sto sorridendo
anche ora. Alzo lo sguardo. Appena in tempo. Sono entrati. E ce n’è uno proprio davanti a me.
Questa è Diaz!
Raffaele Nappi
venerdì 20 aprile 2012
Sorpresa! Di nuovo...
Ho girato e rigirato gli angoli spogli
in una ricerca immortale e solitaria.
Quando l’asfalto mi rispose di fermarmi,
ho scosso dalle mie fronde la polvere
per un’Aria più trasparente.
Ho ritagliato una panchina ed un pezzo
di azzurro sopra me, ho immaginato delle mani
che temevano i miei timori.
E’ arrivato uno spiraglio sull’ora tarda
e la sagoma mi circondava
come una fiamma in preda al vento.
Mi è arrivato tutto ciò addosso
come un’onda tranquilla,
mi ha preso con la dolcezza di brezza, candida sulla rena.
Ora mi tengo stretta a lui,
per non cadere, per essere completa.
in una ricerca immortale e solitaria.
Quando l’asfalto mi rispose di fermarmi,
ho scosso dalle mie fronde la polvere
per un’Aria più trasparente.
Ho ritagliato una panchina ed un pezzo
di azzurro sopra me, ho immaginato delle mani
che temevano i miei timori.
E’ arrivato uno spiraglio sull’ora tarda
e la sagoma mi circondava
come una fiamma in preda al vento.
Mi è arrivato tutto ciò addosso
come un’onda tranquilla,
mi ha preso con la dolcezza di brezza, candida sulla rena.
Ora mi tengo stretta a lui,
per non cadere, per essere completa.
giovedì 19 aprile 2012
Palline al cocco
Palline al cocco
Quando il tempo è poco e l'abilità ai fornelli pure, un
dolcetto veloce e facile sono le palline al cocco. Dovete procurarvi solo una
buona ricotta un poco della sacra nutella o una crema al cioccolato e la farina
di cocco.
Dall'alchimia di questi ingredienti nasce il dessert a
“sforzo zero”la cui preparazione è affidabile anche ai bambini o agli inetti.
Se avete un partner impedito in cucina o un'amica i cui
risultati culinari sono più associabili ad una stanza delle torture che alla
tavola, presentate loro questa ricetta.
Sbagliarsi è IMPOSSIBILE!
Costo
Mooolto basso
Costo: 2/3 euro per 15-20 palline
Ingredienti
Ricotta
Nutella
Farina di Cocco
Procedimento
Mescolare insieme la nutella con la ricotta e
aggiungete la farina di cocco quanto basta ad addensare il composto.
Ora ricavate delle palline della dimensione di una noce circa
e passatele nella farina di cocco.
Lasciatele in frigo un'oretta e servitele distribuite su un
piatto a “piramide” oppure, molto chic, in pirottini di carta colorata.
Consiglio: Le dosi non sono indicate
volutamente in quanto suggerisco di assaggiare il composto in fieri e di
regolarsi in base al proprio gusto.
Di base direi di mettere un cucchiaio di nutella ogni tre di
ricotta.
Infine invece di passarle nel cocco potete passare le palline
nelle codette di zucchero colorate o nella granella di nocciola.
Le Delizie di Francesca
Piersanti
martedì 17 aprile 2012
La foresta incatenata
C’era una volta un piccolo folletto, troppo giovane per
esplorare il mondo e troppo grande per rimanere tranquillo nella sua stanza,
circondato dalle favole. Così, un giorno, decise di fare un patto con se
stesso: sarebbe scappato di casa. Non poteva rimanere imprigionato in quella
stanza nel cuore della sua gioventù. Il giorno successivo, nascosto da un
cappello e un mantello, i piccolo folletto abbandonò il villaggio. Nessuno
potrebbe descriverne il viaggio con parole naturali...
Appena uscito dal bosco incontrò un pescatore:
“Prendi questa barca e impegolamela e quando l'avrai impegolata disimpegolamela senza impegolarmi!”
Il folletto rimase stupito. Nell'anfratto della grotta, intanto, trentatré gretti gatti si grattavano felici.
“Scopo la casa, la scopa si sciupa; ma, se non scopo sciupando la scopa, la mia casetta con cosa la scopo?” ripeteva la donna che abitava in una piccola casa lì affianco.
“Se la serva non ti serve, a che serve che ti serva di una serva che non serve? Serviti di una serva che serve, e se questa non ti serve, serviti dei miei servi.” Rispose il padrone.
“Sa chi sa se sa chi sa che se sa non sa se sa, sol chi sa che nulla sa ne sa più di chi ne sa.” Rispose la donna.
“Sul tagliere taglia l'aglio, non tagliare la tovaglia:la tovaglia non è aglio e tagliarla è un grave sbaglio.” Cominciò a sbottare il padrone, proprio mentre si stava avvicinando il pittore Tito.
“Tito, tu m'hai ritinto il tetto, ma non t'intendi tanto di tetti ritinti!” urlò contro di lui fino a farlo diventare rosso. In quel momento una rara rana nera sulla rena errò una sera, una rara rana bianca sulla rena errò un po' stanca.
“Se il coniglio gli agli ti piglia togligli gli agli e tagliagli gli artigli” brontolava il contadino lì vicino.
“Tu che attacchi i tacchi, attaccami i tacchi. Io? attaccare i tacchi a te che attacchi i tacchi? Ma attaccateli tu i tuoi tacchi!” rispose il padrone con rabbia. “Ora, mio caro contadino, vai dal questore! Subito”
“Ho un campo di lupini da diradare; chi me li diraderà? Rispose il contadino sconsolato – e poi a quest'ora il questore in questura non c'è!”
“Ho in tasca l'esca ed esco per la pesca, ma il pesce non s'adesca, c'è l'acqua troppo fresca. Convien che la finisca, non prenderò una lisca! Mi metto in tasca l'esca e torno alla pesca.”-fece il pescatore appena accorso.
“Anche tu!” – riprese il padrone.
“Sotto l'albero del tiglio ho veduto grano e loglio e un grazioso quadrifoglio. Io cercavo l'erba-voglio, tra le foglie, sotto il tiglio, ma ho trovato solo miglio, un cespuglio di cerfoglio, fiori rossi di trifoglio. Ma non c'era l'erba-voglio!” – intervenne nuovamente il contadino.
“Porta aperta per chi porta, chi non porta parta pure; per chi porta porta aperta, parta pure chi non porta.” – urlò il servo correndo.
Il padrone stava uscendo di senno, quando apparve suo fratello.
“Che ci fai qui?” –gli disse.
“Avevo una graticola da ringraticolare. La portai dal capo ringraticolatore delle graticole, ma il capo ringraticolatore delle graticole non c'era. Allora me la ringraticolai da me e me la ringraticolai meglio del capo ringraticolatore delle graticole.” – rispose.
“Verso maggio con un paggio vo in viaggio. Non vaneggio, nè motteggio; forse è peggio! Se mi seggo, più non reggo: mangio o leggo. Se non fuggo qui mi struggo, ma se fuggo vado al poggio e un alloggio là mi foggio, sotto un faggio, con coraggio.”
“Chi sei tu?”- gridò esasperato il padrone.
“Come chi sono! Sono il barbiere!”
“Sei tu quel barbaro barbiere che barbaramente sbarbasti la barba a quel povero barbaro barbone?” – urlò il padrone sempre più irascibile.
“Quanti rami di rovere roderebbe un roditore se un roditore potesse rodere rami di rovere?”- cominciò nuovamente il contadino.
“BASTAAAAAAAAAAAAAA ZITTITE TUTTI!!!-esclamò il padrone.
“E ti stizzisci…e stizzisciti pure!”-rispose nervoso il contadino.
“Prendi questa barca e impegolamela e quando l'avrai impegolata disimpegolamela senza impegolarmi!”
Il folletto rimase stupito. Nell'anfratto della grotta, intanto, trentatré gretti gatti si grattavano felici.
“Scopo la casa, la scopa si sciupa; ma, se non scopo sciupando la scopa, la mia casetta con cosa la scopo?” ripeteva la donna che abitava in una piccola casa lì affianco.
“Se la serva non ti serve, a che serve che ti serva di una serva che non serve? Serviti di una serva che serve, e se questa non ti serve, serviti dei miei servi.” Rispose il padrone.
“Sa chi sa se sa chi sa che se sa non sa se sa, sol chi sa che nulla sa ne sa più di chi ne sa.” Rispose la donna.
“Sul tagliere taglia l'aglio, non tagliare la tovaglia:la tovaglia non è aglio e tagliarla è un grave sbaglio.” Cominciò a sbottare il padrone, proprio mentre si stava avvicinando il pittore Tito.
“Tito, tu m'hai ritinto il tetto, ma non t'intendi tanto di tetti ritinti!” urlò contro di lui fino a farlo diventare rosso. In quel momento una rara rana nera sulla rena errò una sera, una rara rana bianca sulla rena errò un po' stanca.
“Se il coniglio gli agli ti piglia togligli gli agli e tagliagli gli artigli” brontolava il contadino lì vicino.
“Tu che attacchi i tacchi, attaccami i tacchi. Io? attaccare i tacchi a te che attacchi i tacchi? Ma attaccateli tu i tuoi tacchi!” rispose il padrone con rabbia. “Ora, mio caro contadino, vai dal questore! Subito”
“Ho un campo di lupini da diradare; chi me li diraderà? Rispose il contadino sconsolato – e poi a quest'ora il questore in questura non c'è!”
“Ho in tasca l'esca ed esco per la pesca, ma il pesce non s'adesca, c'è l'acqua troppo fresca. Convien che la finisca, non prenderò una lisca! Mi metto in tasca l'esca e torno alla pesca.”-fece il pescatore appena accorso.
“Anche tu!” – riprese il padrone.
“Sotto l'albero del tiglio ho veduto grano e loglio e un grazioso quadrifoglio. Io cercavo l'erba-voglio, tra le foglie, sotto il tiglio, ma ho trovato solo miglio, un cespuglio di cerfoglio, fiori rossi di trifoglio. Ma non c'era l'erba-voglio!” – intervenne nuovamente il contadino.
“Porta aperta per chi porta, chi non porta parta pure; per chi porta porta aperta, parta pure chi non porta.” – urlò il servo correndo.
Il padrone stava uscendo di senno, quando apparve suo fratello.
“Che ci fai qui?” –gli disse.
“Avevo una graticola da ringraticolare. La portai dal capo ringraticolatore delle graticole, ma il capo ringraticolatore delle graticole non c'era. Allora me la ringraticolai da me e me la ringraticolai meglio del capo ringraticolatore delle graticole.” – rispose.
“Verso maggio con un paggio vo in viaggio. Non vaneggio, nè motteggio; forse è peggio! Se mi seggo, più non reggo: mangio o leggo. Se non fuggo qui mi struggo, ma se fuggo vado al poggio e un alloggio là mi foggio, sotto un faggio, con coraggio.”
“Chi sei tu?”- gridò esasperato il padrone.
“Come chi sono! Sono il barbiere!”
“Sei tu quel barbaro barbiere che barbaramente sbarbasti la barba a quel povero barbaro barbone?” – urlò il padrone sempre più irascibile.
“Quanti rami di rovere roderebbe un roditore se un roditore potesse rodere rami di rovere?”- cominciò nuovamente il contadino.
“BASTAAAAAAAAAAAAAA ZITTITE TUTTI!!!-esclamò il padrone.
“E ti stizzisci…e stizzisciti pure!”-rispose nervoso il contadino.
Il piccolo
folletto, rimasto in disparte, cominciò a piangere. Si alzò, attraversò di
corsa la foresta e tornò il più velocemente possibile verso la propria tana.
“Sei tornato, piccolo mio! Eravamo così preoccupati!”-esclamò la mamma con le lacrime che le riempivano gli occhi.
“Mamma ho sbagliato. Volevo vedere il mondo ma ho incontrato strane persone”- rispose il folletto, tremante.
“Il mondo è cattivo mio caro, devi stare attento”.
“Hai ragione mamma; lì fuori sono tutti caffeinomani anonimi che animano anemoni mnemonici!”
“Sei tornato, piccolo mio! Eravamo così preoccupati!”-esclamò la mamma con le lacrime che le riempivano gli occhi.
“Mamma ho sbagliato. Volevo vedere il mondo ma ho incontrato strane persone”- rispose il folletto, tremante.
“Il mondo è cattivo mio caro, devi stare attento”.
“Hai ragione mamma; lì fuori sono tutti caffeinomani anonimi che animano anemoni mnemonici!”
Raffaele Nappi
sabato 14 aprile 2012
Una vita da mediano
Correre. Correre. Correre. Non c’è niente di più bello da
fare. Correre in lungo e in largo in quello spazio di campo in cui ci si sente
padroni e servi allo stesso tempo. Predatori e gazzelle. Servi di un feudo da
conquistare e difendere dagli assalti dei nemici. Rincorrere gli avversari,
azzannarli, e poi scappare via, fuggire con il pallone tra i piedi cercando un
compagno di squadra, sognando, un giorno, un gol. Mettere le mani nei fianchi,
respirare a fatica, e poi subito ripartire, inseguire un altro pallone, un
altro avversario, un altro sogno. Ci sono giocatori che non si fermano mai, non
se lo possono permettere. Tu, Piermario, eri uno di loro. Ci sono uomini che
trasformano le tragedie in forza. Tu, Permario, eri uno di quelli. Ci sono
campioni che se ne vanno in un attimo maledetto ma che non smettono di correre.
E ancora, e ancora, e ancora. E allora quel campo verde inseguito per una vita
diventa un altro trampolino, un nuovo blocco di partenza, pronti per correre
ancora, pronti per aggrapparsi a un altro obiettivo. Questa volta per l’ultima
corsa.
Ci mancherai Piermario.
Raffaele Nappi
venerdì 13 aprile 2012
Anche le stelle diventano vento
Nella foresta nera un vecchio incontrò una bambina senza
capelli.
Dove sono finiti i tuoi capelli? Le chiese il vecchio.
Li ho persi.
Come li hai persi? Continuò curioso.
Giocando a carte.
Non ci credo. Rispose subito il vecchio. Posso anche essere vecchio ma non rimbambito.
Ti dico la verità, e, che tu ci creda o meno, lasciami passare.
Il vecchio, avendo trovato un modo per far trascorrere il tempo, andò più a fondo.
Dimmi chi ti ha ridotto così.
La bambina restò in silenzio.
Portami da lui. Le disse subito il vecchio.
I due, come gli estremi che si danno la mano, si incamminarono nella selva.
Nessuno li vide passare.
Quando giunsero alla porta di una piccola casa, adornata da graziose finestre riccamente colorate, la bambina si nascose istintivamente dietro il suo compagno di viaggio.
Cosa succede?
Ho paura.
Chi ti ha fatto questo? È qualcuno dentro quella casa?
La bambina rimase in silenzio, nascosta.
Il vecchio bussò. Poi, senza aver ricevuto nessuna risposta, decise di entrare.
La porta non fece cigolii, l’ombra non ricoprì l’anima di nessuno. C’era il sole in quella stanza; tutto era grazioso. I raggi entravano sorridenti dalle finestre semiaperte, riflettendo una calma senza timore.
Il vecchio si girò verso la piccola bambina alle sue spalle. Non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto dell’accaduto. La bambina era scomparsa. Il vecchio uscì fuori. Velocemente. Si aggrappò alla porta, ma della bambina niente. Nessuna scia, nessun’impronta. Non un segno, non uno sbuffo di vento da inseguire. Il vecchio cominciò a piangere. Solo. Si accasciò dolcemente sulle membra stanche, abbandonandosi alla vita. Proprio in quell’istante un batuffolo lo raggiunse. Erano capelli. Macchie di capelli a grappoli che si libravano nell’aria.
Dimmi dove sei, ti prego! Dimmi dove sei!
Il vecchio tornò nel bosco, correndo. Il suo respiro, ora, non era affannato.
Si fermò proprio nel punto in cui aveva incontrato quella bambina senza capelli. E lì, in quell’attimo d’oro, i suoi ricordi finalmente diventarono reali. Era lui, imbalsamato in vestiti verdi e slabbrati, con in dosso un fucile nero come una perla assassina, e correva, correva, correva verso il Tet e verso gli ordini. Non poteva tornare indietro, non poteva neanche voltarsi. Il suo obbiettivo era il sole in cima a quella maledetta montagna. E quando una pallottola colpì il suo ventre non si rese conto di nulla. Cominciò a rotolare come un porco morto, come un sacco inerme. E ad ogni pietra conficcata nella carne il suo pensiero andava a Kim che lo aspettava sulla poltrona di casa con una croce in mano, e alla madre, e al padre oramai centenario, e alla figlia dai capelli dorati che tanto aveva sognato. Quando sentì le pale degli elicotteri fendere il vento capì di essere vivo. Lo stavano trasportano in elicottero all’ospedale da campo. Per lui la guerra era finita. Ma ciuffi di capelli dorati continuarono a vorticare per sempre intorno alla sua anima, lì, nel vento, nei mulinelli trovati appena girato lo sguardo. Quei capelli gli si attorcigliarono al cuore per sempre, anche quando diventò vecchio, e rimase solo. Col cuore dorato da un sogno vivo solo nella fantasia.
Dove sono finiti i tuoi capelli? Le chiese il vecchio.
Li ho persi.
Come li hai persi? Continuò curioso.
Giocando a carte.
Non ci credo. Rispose subito il vecchio. Posso anche essere vecchio ma non rimbambito.
Ti dico la verità, e, che tu ci creda o meno, lasciami passare.
Il vecchio, avendo trovato un modo per far trascorrere il tempo, andò più a fondo.
Dimmi chi ti ha ridotto così.
La bambina restò in silenzio.
Portami da lui. Le disse subito il vecchio.
I due, come gli estremi che si danno la mano, si incamminarono nella selva.
Nessuno li vide passare.
Quando giunsero alla porta di una piccola casa, adornata da graziose finestre riccamente colorate, la bambina si nascose istintivamente dietro il suo compagno di viaggio.
Cosa succede?
Ho paura.
Chi ti ha fatto questo? È qualcuno dentro quella casa?
La bambina rimase in silenzio, nascosta.
Il vecchio bussò. Poi, senza aver ricevuto nessuna risposta, decise di entrare.
La porta non fece cigolii, l’ombra non ricoprì l’anima di nessuno. C’era il sole in quella stanza; tutto era grazioso. I raggi entravano sorridenti dalle finestre semiaperte, riflettendo una calma senza timore.
Il vecchio si girò verso la piccola bambina alle sue spalle. Non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto dell’accaduto. La bambina era scomparsa. Il vecchio uscì fuori. Velocemente. Si aggrappò alla porta, ma della bambina niente. Nessuna scia, nessun’impronta. Non un segno, non uno sbuffo di vento da inseguire. Il vecchio cominciò a piangere. Solo. Si accasciò dolcemente sulle membra stanche, abbandonandosi alla vita. Proprio in quell’istante un batuffolo lo raggiunse. Erano capelli. Macchie di capelli a grappoli che si libravano nell’aria.
Dimmi dove sei, ti prego! Dimmi dove sei!
Il vecchio tornò nel bosco, correndo. Il suo respiro, ora, non era affannato.
Si fermò proprio nel punto in cui aveva incontrato quella bambina senza capelli. E lì, in quell’attimo d’oro, i suoi ricordi finalmente diventarono reali. Era lui, imbalsamato in vestiti verdi e slabbrati, con in dosso un fucile nero come una perla assassina, e correva, correva, correva verso il Tet e verso gli ordini. Non poteva tornare indietro, non poteva neanche voltarsi. Il suo obbiettivo era il sole in cima a quella maledetta montagna. E quando una pallottola colpì il suo ventre non si rese conto di nulla. Cominciò a rotolare come un porco morto, come un sacco inerme. E ad ogni pietra conficcata nella carne il suo pensiero andava a Kim che lo aspettava sulla poltrona di casa con una croce in mano, e alla madre, e al padre oramai centenario, e alla figlia dai capelli dorati che tanto aveva sognato. Quando sentì le pale degli elicotteri fendere il vento capì di essere vivo. Lo stavano trasportano in elicottero all’ospedale da campo. Per lui la guerra era finita. Ma ciuffi di capelli dorati continuarono a vorticare per sempre intorno alla sua anima, lì, nel vento, nei mulinelli trovati appena girato lo sguardo. Quei capelli gli si attorcigliarono al cuore per sempre, anche quando diventò vecchio, e rimase solo. Col cuore dorato da un sogno vivo solo nella fantasia.
Raffaele Nappi
mercoledì 11 aprile 2012
Foto pedopornografica su Facebook
Proprio ieri ci è stata segnalata la presenza su Facebook di questa foto esplicitamente pedopornografica. Ho deciso di pubblicarla affinchè chiunque possa rendersi conto di come la Rete possa adescare in maniera pericolosissima giovani inesperti e vulnerabili. Chiunque sia l'autore di queste foto e del montaggio, chiunque l'abbia diffuso su un social network che conta milioni di iscritti al mondo, deve pagare severamente. Dalla scritta in minuscolo si legge "Tradotta da TheMechanix per Slayer's Meme"; questo fa supporre che la foto originariamente sia stata diffusa in un'altra lingua. L'intento di questa pubblicazione non è alimentare facili condanne nè tantomeno creare allarmismo. Il post vuole mostrare quanto è facile, oggi, cadere in pericolosi vortici con pochi clic.
La foto verrà inviata immediatamente alla polizia postale che svolgerà tutte le indagini previste al fine di risalire all'autore di questo gesto davvero infimo.
E' possibile segnalare questo abuso inviando la foto all'indirizzo poltel.rm@poliziadistato.i
Raffaele Nappi
martedì 10 aprile 2012
Appello a tutti i genitori italiani
Questa analisi è un esperimento. Visto che tutti ora hanno
così tanta voglia di cimentarsi nelle novità, mi accodo anche io con piacere.
Il
mio appello è un esperimento.
Cari genitori italiani,
cari padri stanchi e delusi, care madri arrabbiate e sconfortate, spegnete la televisione, abbassate il volume della radio, tracimate i cavi internet. Basta. Smettetela di provare rabbia. Cambiate i soldi in sorrisi. Trasformate i titoli di stato in titoli di studio per i vostri bambini. Tornate a studiare sui libri, alla luce delle candele. Cucinate insieme, tutta la famiglia unita, come si faceva una volta. Discutete, dialogate, amatevi e odiatevi. Sparlate del vicino, spiatelo insieme alle vostre madri e ai vostri padri. I nonni. Tornate ad accucciarvi sotto le sedie dei nonni per ascoltare le loro interminabili storie. Sorridetegli. Prendetevi una giornata di ferie, anzi due, anzi una settimana. Abbandonate la macchina nel garage (se ne avete uno) e camminate per le vie e viuzze del vostro tanto odiato paese. Mettete delle bende agli occhi ed entrate in una ferramenta; minacciate il proprietario; avete il sacrosanto diritto di scegliere a casaccio il vostro prossimo colore del salone. Sceglietelo, ma non guardate il risultato. Appena giunti a casa mettete di nuovo la benda e poi via a spennellare sulle mura, senza verso e senza direzione. Spennellatevi addosso. Poi guardatevi negli occhi. Fate l’amore. Sì, anche voi, genitori che hanno trasformato la parola in tabù. Danzate nudi per le finestre e invitate il vostro vicino di casa (che vi guarda come se foste degli alieni) a prendere un caffè. Fate spogliare anche lui, e che vada a chiamare immediatamente sua moglie; stasera grigliata in onore della vita. Accogliete tutti gli ospiti vestiti da chitarristi messicani e ballate la tarantella fino a notte fonda. Quando arriveranno i carabinieri fategli una linguaccia e tirateli per il braccio dentro la vostra casa. Vedrete che anche loro, dopo qualche “no grazie” di turno, si scateneranno con e più di voi. Andate a dormire all’alba, senza pensare al resto.
Il mattino dopo accendete la tv, alzate il volume della radio, riattaccate i cavi internet. Scoprirete altri ladri di soldi pubblici, altri scandali, altre tragedie. Non scuotete la testa. Ricordatevi quello che avete combinato l’altra sera. E sorridete. Sorridete.
Lasciateli rubare. Laciateli parlare. Non fatevi corroborare dalla rabbia. I vostri figli non se lo meritano.
Raffaele Nappi
domenica 8 aprile 2012
Resurrezione
Il pazzo camminava per la città, bagnandosi fino alle ossa con le gocce che cadevano a grappoli sulla sua testa. Danzava, girava su se stesso, sorrideva. Qualcuno si affacciava alle finestre, i bambini chiamavano le madri per venire a guardare. Nessuno si avvicinava; lo lasciavano gioire di quella sua sempiterna follia privata, incapace di far male o forse incapace di comunicare. Il pazzo si batteva il petto senza dolore, rideva senza respiro, batteva le mani e i piedi in terra, cantava lodi, inni, con voce sempre cangiante e pura, e poi sussurri, e poi grida. Il pazzo apriva gli occhi fino a guardare dietro il cielo, scopriva la verità delle cose immerso nella solitudine della piazza, giocava con le anime che lo stavano a guardare. Tutti i cittadini di quel borgo, quella domenica, scordarono presto ciò che avvenne. Un pazzo in strada, sotto la pioggia, a dimenarsi. Un folle. Un idiota. Un povero barbone. Un mentecatto. Nessuno, però, potrà mai dimenticare il sorriso di quel giovane, e la sua risata divina, quando, cantando inni, si elevò fino al cielo. Nessuno lo rivide. Mai più.
Raffaele Nappi
venerdì 6 aprile 2012
Joshua
Il rumore delle catene, sento il rumore delle catene. Dondolano lungo la strada i passanti, si avvinghiano ai lati. Tutti vogliono vedermi passare strisciando, tutti. Una schiera di soldati apre la processione; quasi come fossi un dio sceso in terra. La frusta sbatte sulla mia schiena, le spine si conficcano nella carne, nasce nuovo sangue che si va ad accumulare a quello rappreso. Sento che è caldo. Sento che riesco ancora a sentire dolore. Significa che sono ancora vivo. La salita è costellata di sguardi immersi tra le pietre e gli alberi. Cammino. Ogni tanto il dolore mi vince. Cado. Con la faccia immersa nella terra assaporo il mio respiro. Passa solo qualche secondo prima di essere sorretto di nuovo e riprendere la via del mio destino. I capelli negano al mio sguardo la possibilità di osservare l’orizzonte. Urlo, o forse no. Vivo il mio presente, questo presente, come un predestinato, vincitore e vinto allo stesso tempo. La frusta continua a colpirmi. La vorrei odiare, ma so che è lì per compiere il piano. Cado di nuovo. Urlo. Mi sorreggono. Mi rialzano. Continuo. La croce mi ha bruciato la spalla. Il sangue gocciola ad ogni mio passo, quasi fosse sudore. Non mi giro indietro. So che incontrerei gli sguardi che mi hanno amato. Non voglio farlo. Sono ancora un uomo. Non posso permettermelo.
Ecco. Sono sulla cima del Cranio. Non sento più dolore, o forse tutto è dolore. Sono disteso sulla terra. Mi prendono per adagiarmi sul legno. So che è il mio destino. Ma fa male. I chiodi mi perforano le mani. Pensavo di non sentire più il dolore e invece eccolo, più potente. Non devo lamentarmi eppure qualche gemito sgorga dalla mia anima. Vengo issato. Respiro a fatica, ma respiro. Guardo l’orizzonte. C’è il sole, appena più in là qualche nuvola. Ai miei piedi solo risate, nella mia testa solo dolore. Scendi! Scendi! Scendi! Io alzo solo la testa verso il cielo, per l’ultima volta. La lacrime mi bagnano il volto e la barba, scendono fin sopra al cuore. Sento il mio battito. Ecco. S’è fermato.
Dicono ci sia stato un temporale, un vento fortissimo. Dicono che qualcuno ha avuto paura, qualcun altro ha continuato ad ubriacarsi. Dicono che sono rimasti in pochi sotto la mia croce. Dicono che in pochi hanno pianto e che molti mi hanno tradito. Dicono che non è vero. Dicono che era già tutto scritto. Dicono che sono un dio.
Lo sono sempre stato.
giovedì 5 aprile 2012
Passatelli
Torna l'oramai classico appuntamento con le Ricette dei MalAffamati
Passatelli
Dalle terre romagnole vi presento il primo dai mille volti.
Può essere in brodo o asciutto e se asciutto può vestirsi di ogni sughetto, da un rosso Valentino ad un eccentrico Missoni.
Il passatello è una pasta a base di formaggio uova e pangrattato che si cuoce e si serve in brodo(come si vede fare anche in una scena di Amarcord, film non a caso ambientato in Romagna, scritto e diretto da romagnoli) oppure cotto in brodo e tirato su asciutto si accompagna con condimenti che spaziano dal pesce ai funghi.
Ingredienti per 2 persone
150 grammi Parmigiano Reggiano grattugiato
150 grammi Pangrattato
3 Uova
Scorza di Limone grattugiata
Noce Moscata
Brodo (a scelta vegetale o di carne)
Procedimento
Mescolate il pangrattato, le uova, il parmigiano. Aggiungete una presa di noce moscata e un po' di scorza di limone grattugiata e continuate a mescolare fino ad ottenere un composto compatto però manipolabile.
A questo punto porzionate l'impasto e mettetelo nel schiacciapatate (se lo avete a fori larghi) e ottenete così i passatelli che cuocerete in brodo per pochi minuti.
Consiglio: A seconda delle uova usate e a seconda della stagionatura del formaggio potrebbe essere necessario aggiungere un cucchiaio o due di farina per ricompattare l'impasto.
Se l'impasto è lasso rischiate che i passatelli vi si sbriciolino in cottura e otterreste un altro tipo di minestra di Romagna detta “stracciatella”. Ma questa è un'altra ricetta...
Costo
Dipende dal formaggio che scegliere ma sappiate che il più saporito e costoso Parmigiano è più indicato del Grana.
Costo: circa 3/4 euro (per due persone).
Le Delizie di Francesca Piersanti
martedì 3 aprile 2012
Ladro
È notte. Un uomo dorme nero nel suo letto, mischiato all’oscurità. Le pupille danzano nella retina, sotto quelle palpebre che nascondono campi sterminati di sogni, mongolfiere spinte dalla speranza, desideri fatti d’oro. Il corpo dell’uomo si gira nel suo giaciglio, sembra quasi un animale biblico a suo agio nell’arca antidiluviana. Il respiro mormora soffi regolari, cresce come una montagna e poi si affloscia come un lenzuolo vinto dal vento.
Ecco. Un rumore. Un battito secco d’ali. Una frustata all’aria nell’aria. Il respiro si ferma. Le palpebre si aprono all’improvviso, sguainando sangue dagli occhi. Il battito comincia ad accelerare il suo ritmo come un centometrista che vede il traguardo, e lo cerca, lo cerca, lo cerca…
Il corpo dell’uomo si alza di scatto a metà. Ora sembra una elle perfetta, una scultura fatta di carne e respiro che vive e recita umanità. La elle si scompone. Ecco. L’uomo si alza. La sua percezione del tempo e dello spazio non gli permette di avere sicurezza nei movimenti. È buio nell’oscurità. Ecco. Trova l’interruttore. Finalmente. Si erge imperioso nella sua stanza ora abbagliata dalla luce elettrica, imperatore del dominio privato. Ecco. Quel rumore di prima. Sì, solo ora gli torna in mente. Apre la porta, lentamente. Avanza con dolcezza nel corridoio, illuminato solo di sponda dalla luce ancora accesa nel vecchio regno. Quel tratto di casa lo aspetta tutto tremante; l’uomo avanza, un passo segue l’altro, ma con fatica, con estrema fatica. Ecco. Eccola. Una faccia da umano come lui spunta appena varcata l’ultima soglia. Quel volto appare, quasi sorridente, come quello di un bambino.
Ecco. Un rumore. Un battito secco d’ali. Una frustata all’aria nell’aria. Il respiro si ferma. Le palpebre si aprono all’improvviso, sguainando sangue dagli occhi. Il battito comincia ad accelerare il suo ritmo come un centometrista che vede il traguardo, e lo cerca, lo cerca, lo cerca…
Il corpo dell’uomo si alza di scatto a metà. Ora sembra una elle perfetta, una scultura fatta di carne e respiro che vive e recita umanità. La elle si scompone. Ecco. L’uomo si alza. La sua percezione del tempo e dello spazio non gli permette di avere sicurezza nei movimenti. È buio nell’oscurità. Ecco. Trova l’interruttore. Finalmente. Si erge imperioso nella sua stanza ora abbagliata dalla luce elettrica, imperatore del dominio privato. Ecco. Quel rumore di prima. Sì, solo ora gli torna in mente. Apre la porta, lentamente. Avanza con dolcezza nel corridoio, illuminato solo di sponda dalla luce ancora accesa nel vecchio regno. Quel tratto di casa lo aspetta tutto tremante; l’uomo avanza, un passo segue l’altro, ma con fatica, con estrema fatica. Ecco. Eccola. Una faccia da umano come lui spunta appena varcata l’ultima soglia. Quel volto appare, quasi sorridente, come quello di un bambino.
L’uomo si sente un dio senza vincoli in questa beata finitezza. È il volto di un ladro, anima nomade e felice. Oppure triste e disperato. Nessuno potrà dirlo mai. Quel sorriso sguazzava in migliaia di significati…
Raffaele Nappi
domenica 1 aprile 2012
I governi chiudono Facebook e Twitter
Il Papa è stato sorpreso a baciare una statua di Cristo, appassionatamente.
Due colombe bianche hanno protestato contro il nucleare in Iran, diventando verdi. Erano camaleonti cresciuti a Fukushima.
In Siria il dittatore Assad si è rinchiuso nella stanza privata del suo palazzo. Piange e non ha intenzione di smettere. Piange da più di 20 giorni consecutivi. Non mangia. Dice che ogni lacrima è quella dei bambini che ha ucciso. Qualcuno dice che non smetterà più.
In Sudafrica Mandela è uscito dall’ospedale, rassicurando il Paese che vivrà per altri 50 anni. I cittadini tutti hanno tirato un sospiro di sollievo.
Dopo la scoperta della sorgente di lunga vita, la cosiddetta Pillola-Berlusconi, sono tanti i vecchietti che si denudano per le strade in cerca di nuove fiamme. Il mondo è in subbuglio, le farmacie sono prese d’assalto. Il governo, presieduto da Pannella (che alla veneranda età di 112 anni, alla fine di uno sciopero della fame di 1567 giorni è riuscito a diventare Presidente del Consiglio), ha deciso di liberalizzare il settore; ora, la Pillola-Berlusconi è acquistabile anche nei supermercati, nelle botteghe, nei ristoranti, per strada dagli ambulanti.
L’America ha scoperto la povertà. I cittadini vagano per le strade in cerca dei loro sogni; loro sognan se stessi e noi sogniamo di loro.
In Cina, al contrario, le strade sono deserte. Il governo ha stabilito una quota di 10mila dollari da donare ad ogni coppia che abbia solo l’intenzione di procreare un angioletto: proprio questa mattina il piccolo Wo nato nella provincia della Shiciuan è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità. È il primo bambino cinese nato dopo 15 anni di astinenza.
Il Tibet è libero. I monaci si scatenano in danze sfrenate nei templi adornati a festa. Nella regione arrivano migliaia di giovani per partecipare alla nuova Woodstock. Sono gli stessi monaci ad aver diffuso, grazie ad un’abile campagna di marketing, dei volantini in cui si inneggia all’amore da consumera tra i verdi prati tibetani e si scoraggia l’uso del preservativo.
Facebook e Twitter sono stati chiusi dai governi di tutto il mondo. In cambio, enormi piazze contengono ad ogni ora, discussioni su ogni tematica del momento. I cittadini tutti possono partecipare, proprio come se fosse l’antica Grecia. (A proposito, la Grecia si è salvata ed ora è costretta a prestare soldi alla Germania in difficoltà) .
Questa mattina una giovane coppia si è sposata nella chiesa di Gerusalemme. Lui, israeliano, lei palestinese. Alla fine della cerimonia è giunto lo stesso presidente iraniano Ahmadinejad in compagnia di Obama, i quali, mano nella mano, hanno intonato canzoni e inni in favore della loro rinnovata amicizia.
A Napoli sono state ritrovate pizze contenenti polvere bianca. No, non era droga. Era solo zucchero. La città è diventata Capitale del Sud, governata dal Ministro per le Relazioni con il Pubblico Umberto Bossi. Camorra è solo una vecchia parola; nessuno si ricorda cosa volesse significare. Non si registrano omicidi da 55 anni. Ogni giorno il Sindaco Bossi si reca al lavoro in un completo azzurro. Fa strano, anche perché la città è colorata di verde. Quello degli alberi.
La foto è a carattere puramente simbolico e ha il mero compito di attirare visitatori. Così anche il titolo.
Raffaele Nappi, "1 Aprile" 2012
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