La testa era già nel
casco. Il mondo era diventato ovattato, buio. Gli uomini gli giravano
intorno come formiche indaffarate, sempre alla ricerca di un motivo per non
restare fermi. Qualcuno spazzolava per terra, qualche altro scrutava fili
elettrici disegnati su uno schermo. C’era chi teneva delle coperte sulle gomme
e c’era chi studiava strategie per il giorno successivo. Era sabato.
Le prestazioni non
erano andata poi così male. Quel tempone non c’era stato, ma,
complessivamente, diciamo che le cose sembravano mettersi per il meglio in
vista della gara. Durante le prove precedenti, mentre gli altri strombazzavano
per la pista in cerca del record da agguantare e battere, lui, insieme alla sua
macchina, se n’era stato lì, al caldo del suo sediolino, cullato per le valli
belghe dalla forza motrice. La macchina aveva risposto bene alla simulazione di
gara. Okkei, niente tempo da qualifica, ma la gara, quella, nessuna ce la
toglie. Abbiamo il passo. Non il passo più lungo della gamba, il passo gara.
Il sabato si
profilava, quindi, come una giornata di sofferenza, sebbene il paragone
appaia un po’ troppo forte in termini umani. Sofferenza sportiva, si intende.
Ci si difende il sabato per attaccare la domenica. Ci si nasconde dietro quei
maniacali piani di guerra che sono le strategie di gara. Basta una sosta in
meno e bam, eccoti davanti a tutti a lottare per non farti finire le gomme.
Negli ultimi anni le
regole erano cambiate. In nome dello spettacolo, ovviamente. E in nome
degli sponsor, logicamente. Non più un sola sessione di 60 minuti - scusate le
tante esse che si ripetono – ma 3 da 15 minuti l’una. Solo l’ultima, come da
battaglia finale, durava 10 minuti. Una bella sgranellata verso la griglia di
partenza definitiva.
Quel sabato, nessuno
si ricorda il giorno preciso, né l’orario in cui accadde – per i motivi che
presto vedremo – le macchine erano tutte pronte nelle loro culle, comunemente
chiamate box, così all’inglese, tanto per fare un po’ di globalizzazione
linguistica.
Allo scattare del
semaforo verde, ebbene sì, c’è un semaforo verde ed uno rosso anche nelle
gare automobilistiche!, tutte le vetture pian piano sgusciarono timidamente. Le
si poteva osservare mentre, come da perfette ubriache, dondolavano nei
rettilinei, acceleravano e frenavano inspiegabilmente. Qualcuno diceva che era
per riscaldare le gomme. Fatto sta che i piloti, in quel giro “ di
ricognizione” si divertivano da matti. E vai col zig zag!
Fu la vettura gialla
a partire per prima, seguita da una completamente arancione. Di solito
erano quelle più lente a marcare i primi tempi. Ecco. Siamo giunti al punto. Ma
quali tempi! Il cronometro generale, quello della pista, quello che marca il
giro di una vettura come se fosse un cartellino, quello che timbra il
millesimo, quello che ferma il centesimo, quello che interrompe il normale
scorrere della clessidra. Ecco. Insomma, il cronometro era guasto.
Fu la prima macchina
ad accorgersene. Gli strateghi aspettavano ansiosi un tempo con cui
confrontare i dati, per analizzare le prestazioni e cercare soluzioni. Ma
nulla. Al primo settore ci fu uno strepitoso 00’00’’00’’’ che mai avrebbe
convinto nessuno. Non si poteva percorrere nemmeno un metro in quella frazione
di tempo. Tutti lo sanno. Sembra che anche Zenone se ne sia convinto.
Eppure, anche il secondo
intermedio finì uguale. E così il giro. Un giro in 00’00’’00’’’, altro che
record della pista. Il massimo di tutti i tempi. Ok, la prima macchina può
passare. Ma la seconda no. E invece, smentite tutte le aspettative, il
cronometro non diede alcun segnale. Zero. 0. Zero spaccato.
I piloti rientrarono
nei box, abbastanza straniati. Gli altri, quelli che aspettano l’ultimo
attimo possibile prima di fare il proprio tentativo, se ne restarono nella loro
culla. Fermi. Poi uscirono dall’abitacolo, con la faccia un po’ intontita.
Ok. Un problema al
cronometro di sabato può capitare. E allora che si fa? Come la mettiamo con
la griglia di partenza? La Federazione intervenne subito scusandosi con gli
spettatori presenti, evviva l’ipocrisia, e piangendo in ginocchio davanti agli
sponsor. Il comunicato parlava chiaro. La griglia di partenza avrebbe
rispettato il punteggio del campionato mondiale. Tutto qui. Deciso. Punto.
La domenica nacque
con il cuore in gola. Gli spettatori arrivarono con calma, mossi da un
sentimento di curiosità morbosa. I piloti seguirono tutte le procedure; la sessione
mattutina fu annullata. Se il cronometro avesse dato problemi già alle 9,
nessuno si sarebbe collegato alle 2 vicino al maledetto schermo.
L’attesa era grande.
Così come il silenzio, profondo. Le macchine si schierarono candidamente lungo
la pista. Il giro di ricognizione passò liscio, tanto mica serviva cronometrare
il tutto. Le macchine, dopo il loro irrinunciabile zig zag, si infilarono dolcemente
nelle caselle assegnate. Ecco. Il momento arrivò.
Il semaforo rosso si
accese, e poi quello vicino. Si accesero tutti e poi il vuoto. Si spensero
come se fossero morti. Fu strano vedere come il vuoto dava vita ad una
battaglia.
Il cronometro,
quello, rimase impalato. Nessuno riuscì mai a spiegarselo. Sempre fermo su
quel temo. 00’00’’00’’’. Nemmeno un millesimo di più.
La Federazione,
disperata, decise di far continuare la gara. E così fu anche per quelle
successive. Il cronometro era scomparso in tutto il mondo, mica solo in Belgio.
E così, gli spettatori si divertivano immensamente a seguire le rimonte “a
vista d’occhio”, le battaglie non si combattevano più sul filo dei millesimi. La
gara la vinceva chi arrivava primo, chi per primo tagliava il traguardo. Niente
più record, niente più prove. Il sabato diventò giorno di festa, in cui i
piloti tutti si sbizzarrivano con i loro zig zag lungo la pista. Qualcuno non
riuscì a trattenersi ed uscì dall’abitacolo con la tuta bagnata proprio lì. L’avete
capito, si scompisciavano dal ridere. Per davvero.
Il pubblico accorse
in massa, si innamorò come una seconda volta. Gli spettatori non guardavano
più al millesimo ma alla bellezza della macchina. Gli appassionati non vedevano
l’ora di arrivare al circuito. E specialmente di sabato. Le gare tornarono ad
essere divertenti, gli strateghi non avevano più dati, i sorpassi si sfornavano
come panini.
Nessun record fu più
battuto. Nessun best lap. Ma il divertimento ci fu lo stesso. Anzi.
Raffaele Nappi