Il
treno era arrivato con i soliti 10 minuti di ritardo. La signorina Marie,
insieme alla sua collega Dora salivano con l’aria affaccendata, classica di
quelle donne in carriera che mostrano a tutto immondo il loro successo. Di
carriera, in verità, ce n’era ben poca. Una cattedra da insegnante in un
istituto a 150 chilometri da casa. E fu così che per la signorina Marie,
insieme alla sua collega Dora, il treno espresso per la capitale divenne
l’unico mezzo per raggiungere il lavoro, e d’altronde quello più economicamente
accettabile. Ogni giorno, le due signorine, impepate, lucidate a nuovo,
rosseggianti di mascara, percorrevano quegli scalini bucherellati per
raggiungere il posto più in vista, possibilmente il più regale. Dai loro sedili
in stoffa premurosamente coperti da fasci di seta (impossibile toccare quei
braccioli luridi, quei tessuti conduttori di batteri) impegolavano l’intero
vagone in storie assurde solo a pensarle. Fu così che, per 5 interi anni, ogni
santo giorno un vagone del treno espresso partito dalla più remota campagna per
raggiungere la capitale, riusciva a scoprire tutte le iniquità ed i segreti di
un piccolo istituto scolastico cittadino.
Proprio
5 anni prima era giunto sul suolo nazionale. Era Konè, nel suo villaggio, ma
qui tutti lo chiamavano Koko. La sua età si aggirava intorno ai 20 anni (in
realtà mai nessuno lo seppe con precisione) e sulla sua carta di
identificazione, semmai l’avesse avuta in una realtà remota, c’era impressa una
scritta buffa alla voce “segni particolari”. Konè, per tutti koko, era l’uomo
più timido della terra. Quando la mamma, semmai ne avesse avuta una in una
realtà remota, lo mandava a comperare un pezzo di pane, lui abbassava gli occhi
durante il tragitto, e spesso finiva per perdersi. Quando riusciva a
raggiungere il portone del panificio (che si trovava non più di 100 metri
distante dalla sua baracca) non aveva il coraggio di alzare gli occhi per
guardare in faccia la commessa, e non perché la figlia del panettiere fosse
un’amazzone meravigliosa. Il suo era un problema atavico. Sarà che quando
nacque con gli occhi chiusi tutti pensarono ad un figlio cadavere, e quando
sputò all’improvviso un pianto rauco tutti rimasero con gli occhi al di là
delle orbite. Konè, comunque, passò la sua infanzia con la testa abbassata,
tanto che i familiari si preoccuparono che qualcuno gli avesse rotto il collo
durante il parto. Il collo non era rotto, tantomento la sua anima così recline
a mostrare un’emozione. Da quando aveva deciso di partire per essere ricoperto
anch’esso dell’onore della famiglia erano passati 5 anni. Il suo viaggio era
verso il denaro, ma soprattutto verso quella rispettabilità che mai nessuno
aveva accostato alla sua persona. Quella mattina, anzi, quella notte, su quel
treno lui c’era salito prima della signorina Marie, e non era stata una scelta
volontaria. Non aveva avuto il coraggio di guardare gli orari, il tabellone era
invaso da turisti e viaggiatori, e lui, Konè, non riusciva a chiedere il
permesso di guardare senza sentirsi in colpa. Per la sua vita quello fu un
treno sbagliato.
Nico
era un ragazzino. Solo un ragazzino. Non era partito 5 anni prima da una terra
trapassata per raggiungere quella nazione. Lui, c’era nato e vissuto. Ma i suoi
12 anni spaventavano tutti, compresa la sua famiglia. Quella mente non poteva
dimostrare solamente i pensieri di un adolescente. I suoi giochi durante il
tempo libero erano anomali, e questa parola non riesce a trasmettere tutto il
senso dei suoi passatempi. L’armadio di Nico era stato sventrato sul fondo, per
far posto ad armi e corde. La sua non era una passione bellica, propria di
tutti i bambini, ma una mania schizofrenica. Gli scatti tormentavano le sue
giornate, i piani segreti impegnavano i suoi minuti. Il piano studiato per
l’anno dodicesimo rispecchiava quello che sul quaderno di Nico era chiamato “Il
compimento finale”. Tutti i suoi anomali pensieri si erano concentrati in un
punto, un buco nero che ingoiava la sua mente e i suoi progetti. Quell’anno, il
dodicesimo anno della vita segreta di Nico, la vittima sarebbe giunta a
compimento del suo programma di libertà. C’era bisogno di un agnello immolato
da sacrificare all’altare della fantasia, e per Nico non c’era scelta migliore
che la signorina Marie, la sua insegnante.
Quella
mattina la signorina Marie salì sul treno con la solita altezzosità. I quattro
vagoni incaricati di raggiungere la capitale erano solitamente pieni a tratti.
Le due insegnati, come da copione, scelsero lo scompartimento più occupato, per
esibire la loro vita perfetta al mondo. Stranamente l’intero vagone finale era
occupato; tutti i primi tre vagoni erano vuoti e le signorine dovettero
percorrere l’intera lunghezza del convoglio, non senza un senso di felicità per
l’occasione di una sfilata improvvisata. Giunsero così nella penultima
carrozza, dove, come in quelle precedenti, c’era solo il vuoto a farla da capo.
Oltrepassarono anche questa, ma i loro volti si oscurarono di un’espressione
orrenda e disgustata. Un gran puzzo di piscio opprimeva l’aria di quel vagone,
e nemmeno i finestroni spalancati oltremisura riuscivano a purificare l’aria.
Ecco spiegato il motivo di quella concentrazione anomala. Meglio raggiungere
subito l’ultima carrozza, ci sarà così l’occasione di mostrarsi di fronte ad un
pubblico ancora più ampio! La corsa verso la meta fu più buffa che efficace. Le
due signorine inciamparono in tutto quello che si intrometteva sulla loro
strada. Sembrava una scena di un film comico piuttosto che una fuga disperata
dall’inferno. La porta della libertà era vicina. Le due signorine però, prima
di versarsi a pieni polmoni nella carrozza del pubblico incontrarono sul loro
campo visivo una novità. Sembrava una pietra ma era un essere umano. Forse. La
figura cercò in un primo momento di nascondersi agli occhi imperanti delle due
signorine, chiudendo la testa sotto il maglione sfilacciato. Era una pietra, o
forse un uomo, umida e puzzolente. L’interesse suscitato dalla novità fece
largo subito dopo alla colpa. Le due signorine rivolsero immediatamente le
accuse più dure alla pietra maleodorante, e, nello spazio di pochi secondi (in
realtà un po’ troppi per delle insegnanti abituate agli esercizi con la
ragione) riuscirono a collegare la concentrazione anomala nel treno col puzzo
di piscio emanato dalla pietra. “Una cosa ignobile solo a raccontarla!”.
Konè
aveva preso il primo treno in stazione. Era notte, e i suoi occhi non
riuscivano a distinguere con esattezza le scritte dirette ai viaggiatori; e le
sue orecchie non potevano decifrare i messaggi dagli altoparlanti. I tabelloni,
poi, erano affollatissimi. Si intrufolò così in un vagone piccolo, dalle luci
spente, ma che portava ancora l’apertura delle porte manuale. Konè si fece
forza e riuscì ad aprire quel varco. All’interno sembrava essere solo. Tutte le
luci erano completamente spente e riusciva a vedere qualcosa che somigliasse ad
un corridoio solo grazie all’illuminazione nella stazione. Konè, per la prima
volta, abbandonò quel sentimento di timidezza che gli era entrato nella pelle.
Ora provava solo paura. Il terrore aumentò quando il treno cominciò a muoversi.
Sembrava solo in quel convoglio ma evidentemente non lo era. Un ragazzo
impaurito in un paese sconosciuto su un treno notturno. Vuoto. E senza sapere
la destinazione (come se bastasse a stare più sereni sapere dove fosse diretto)
. konè si rannicchiò in un angolo, la notte e l’oscurità invadevano tutto lo
spazio intorno, e solo qualche luce artificiale (sarà stata quella di un
lampione) si intrometteva a sprazzi nella sua battaglia con la paura. Su quella
culla che dondolava le lacrime si mischiarono al puzzo del proprio corpo che
non era riuscito a trattenere la timidezza.
Nico
si sentiva potente, quel giorno. L’insegnate Marie sembrava il diavolo in
persona. Non sapeva chi l’avesse resa così ma sarebbe stata sicuramente una
persona da elogiare per aver reso praticabile il suo piano. Nico disse alla
maestra di avere conati di vomito e si fece accompagnare in bagno
immediatamente. Il suo piano aveva raggiunto e superato la parte più difficile:
farsi accompagnare dalla signorina Marie nel bagno degli uomini. Le stanze
erano completamente deserte, come accadeva nelle ore iniziali delle lezioni; le
prime uscite erano permesse solo a partire da metà giornata. Una volta entrati
per Nico fu un gioco da ragazzi mettere in pratica un piano studiato da troppo
tempo per fallire. Il fazzoletto imbevuto di cloroformio sorprese l’insegnante,
che prima di addormentarsi definitivamente, mostrò quegli occhi sorpresi e
impauriti, forse a compimento di una giornata da dimenticare. Nico ebbe tutto
il tempo di addentare la corda nascosta nei pantaloni, scioglierla e legarla al
tubo di scarico dei bagni. Il bambino, senza troppi sforzi, adagiò la testa
addormentata della signorina Marie nel cappio, assicurandosi che i piedi
nascosti nei tacchi, non si poggiassero sulla tazze del water. Nico restò
immobile per qualche minuto, giusto il tempo di aspettare gli attimi necessari per
certificare la morte. La sua mente malata esultò commossa alla notizia che il
suo piano era giunto a compimento.
Quel
giorno Konè, un ragazzo di venti anni di nazionalità sconosciuta, forse
nordafricana, fu trovato impiccato ad un albero. Il suo corpo non presentava
segni di colluttazione. Era stato sicuramente un gesto volontario.
A
qualche chilometro di distanza la signorina Marie, insegnante in un istituto
della capitale, era stata trovata impiccata nel bagno della scuola. Sul suo
corpo non erano presenti segni di colluttazione. Era stato sicuramente un gesto
volontario.
Quelle
due anime, appese al filo del loro destino, ora dondolano nel vento. Una è
cullata dal pianto di familiari sconvolti fino alla disperazione. L’altra danza
nella solitudine e nell’oscurità. Il loro cammino s’è unito in un percorso
unico, che assomigliava ad una corda che non si è spezzata. Entrambe ora,
qualunque sia stato il loro destino, vagano verso una nuova meta. Ma nessuno sa
quale delle due abbia preso la strada giusta.
Raffaele Nappi
Nessun commento:
Posta un commento