In macchina la musica
andava a palla. Rimbombava verso i finestrini chiusi per colpa della pioggia, e
se ne ritornava dritta nelle orecchie dei 4. Il guidatore muoveva le spalle,
quasi come se fosse sulla bici; voleva accompagnare con i muscoli la guida spericolata.
Alla sua destra, il ragazzo che faceva da leader, anche se tutti già sapevano
dove andare. L’avevano studiato da mesi. Da settimane. Da giorni. I due dietro
si sballottolavano, prima di essere ripresi. Questa volta definitivamente. “Basta”. Nessuno parlo più.
Ora si procedeva in
silenzio. La macchina rallentò, era oramai notte. La luce arancione dei
lampioni rendeva la cosa ancora più difficile. Le gomme rotolavano lente sulle
pietruzzole della via. Poi, un’accelerata decisa. In due scesero, già pronti
con le armi in mano. E via. 14 colpi, di
cui una buona parte al volto. In faccia. Uno sputo a terra e poi via, di
nuovo in macchina, questa volta accelerando al massimo. Silenzio ancora per
poco. Qualche chilometro più in là ecco di nuovo la musica alta, e poi a casa
la festa, le donne, la cocaina. Missione
compiuta.
E il giorno dopo? Beh, la città si risvegliò nella solita indignazione, che colpiva tutti e
non colpiva nessuno. Un sottile strato di vergogna aleggiava nei discorsi
al bar, ma tutto si fermava lì. Non bisognava mai andare oltre nelle
conversazioni. Mai sballare con la bocca.
“Ho avuto un’idea. Ti
devo parlare. Vieni subito da me. Ti aspetto tra 10 minuti”. L’uomo
riattaccò. Poi, dopo pochi secondi, ripeté la stessa telefonata, le stesse
parole. Senza dare spiegazioni a nessuno. Il buon senso ci dice che gli
interlocutori dell’uomo sconosciuto fossero amici, parenti, qualche
collaboratore. Non ci inganniamo, infatti, guardando, ora, il suo studio d’ufficio
pieno di omoni indaffarati, un po’ stupiti. Il fumo galleggiava a nuvole
all’interno del salone arredato in stile prettamente barocco. Il gruppo,
formato anche da qualche donna, non superava le 30 persone. Il brusio iniziale
fu interrotto dalle parole decise del padrone di casa, che solo dopo scopriremo
essere un pezzo grosso dell’economia della città.
“Ebbene, miei cari signori, vi ho invitato qui in modo un
po’ brusco, lo ammetto, ma penso ci siano dei provvedimenti urgenti da prendere
dopo quello che è successo. Come uomo libero e come cittadino perbene mi sento
in dovere di dire basta. La nostra città
ha versato già troppo sangue, troppe giovani e innocenti vite sono state
stroncate da pallottole fumanti e assassine, troppi i sogni ammazzati nel loro
germogliare. Sono stanco. E lo siete
anche voi. Proprio per questo vi ho convocati qui”. Il brusio, mai spento,
era stato sostituito, ora, da una mischia di sguardi reciproci. Tutti
guardavano tutti. Alcuni sorpresi, altri impauriti, altri solo curiosi di
vedere fin dove si poteva arrivare.
L’uomo riprese la parola. “Ho avuto l’accortezza di non
invitare nessun esponente della polizia cittadina, per evitare inutili
incomprensioni. Ora, se mi date solo pochi minuti della vostra attenzione,
vorrei spiegarvi in linea di massima il mio piano. È arrivato il momento di
dire basta”.
La seduta, se così la
vogliamo chiamare, fu sciolta 7 ore dopo. Le segretarie dell’ufficio si
erano guardate ripetutamente negli occhi, chiedendosi cosa mai stesse accadendo
in quello studio con 30 persone. All’uscita, salutarono come da prassi gli
invitati e li accompagnarono regolarmente alla porta. Il capo, quella sera, le
lasciò uscire qualche ora prima. Era spossato.
La riunione aveva dato i suoi frutti. Non era stato facile
convincere tutte quelle persone, ma, alla fine, un accordo di massima s’era
raggiunto. Fu proprio il giorno successivo, appena l’alba diede scacco alla
notte, che l’uomo decise di agire. Si recò prima all’Ufficio Tributi, poi alla
Sede Nazionale della Banca. Aveva con sé un libretto di assegni, pronto da
compilare. L’ultima tappa fu l’Ufficio Nazionale Registrazioni Aziende. Ecco. Il guaio era fatto.
In una notte l’idea
era diventata realtà, o potremmo dire azienda. L’uomo si accese un’altra
sigaretta, rimanendo fermo, con gli occhi spenti nel pensiero. Il giro di
telefonate, questa volta, fu affidato alle segretarie. “E’ tutto fatto” – ripetevano
in coro alle 30 persone che avevano partecipato al consiglio di ieri nello
studio del capo.
Nei primi 6 mesi
l’azienda non fatturò più di 10mila euro. Praticamente nulla. Ma l’uomo non
si diede per vinto. Quello che serviva, ecco, era solo un po’ di pubblicità.
Peccato, che nessuno, e ripetiamo nessuno, si era degnato di accettare le loro
offerte, seppur la paga fosse ben al di là delle aspettative del mercato. Fatto
sta che i pubblicitari non accettavano di reclamare quell’azienda. Preferivano
continuare a parlare dell’acqua minerale, dei panettoni, delle ecodosi per
lavatrici. Solo la parrocchia della città, nel suo piccolo, appese un manifesto
all’entrata, non troppo in evidenza naturalmente. I fedeli, per lo più vecchi
decrepiti e signore cieche, non riuscivano nemmeno a leggere quel pezzo di muro
con sopra incollato chissà cosa.
L’uomo, allora, decise di investire tutto quello che restava del suo patrimonio per giocarsi
l’ultima carta: il giornale della città. Ecco, un giornale, non può
rifiutare di concedere uno spazio a pagamento, soprattutto se si parla di
150mila euro per pagina. E così, in stampa, ci andò un bel pezzo di Speranza.
Fu così che il giorno dopo i soliti affezionati delle “Cronache
Cittadine” lessero a caratteri cubitali una scritta nel bel mezzo del giornale:
due pagine su cui campava il nome APU-Alleati Per NON Uccidere. Lo slogan, che
i pubblicitari nel loro gergo erano soliti chiamare Headline, Claim, Pay-off si
componeva anche di una parte scritta sottostante, comunemente detta body-copy. Sullo
sfondo bianco si leggeva con chiarezza: “La
prima azienda al mondo che ti paga per NON fare qualcosa. È un’idea che può
cambiare il mondo. Tu, anziano vendicatore, rivolgiti a noi. Tu, uomo di mezza
età che ha problemi con la moglie, parla con i nostri esperti. Ma soprattutto
tu, giovane ventenne senza lavoro, vieni a trovarci. Ti daremo una possibilità
unica per cambiare la tua vita. E non scherziamo”.
Furono i vecchietti i
primi a leggere questo annuncio. Come da prassi, i giovani non andavano
alle edicole per comprare i giornali, al massimo qualche rivista di fumetti. Ma,
come si suol dire, la pubblicità fece centro. Eccome. Il brusio, quello che si
diffondeva in città dopo gli omicidi, questa volta nacque spontaneo, raggiunse
le mamme fuori le scuole, i padri in ufficio durante le pause-caffè, i maestri
cominciarono a discuterne durante i consigli d’istituto. Toccava solo a loro. I
giovani.
E fu quasi per caso, come spesso vuole il destino, che la pubblicità raggiunse la nuova
generazione. Il sedicenne aiutante del meccanico, infatti, aveva bisogno –
guarda un po’ il caso che ti combina – proprio di un giornale per stendersi a
terra ed evitare di macchiarsi la tuta d’olio (per la cronaca già sporca). Prima di buttarsi a terra la sua mente fu catturata da quel NON.
Diciamocelo: prima di tutto perché era scritto tutto maiuscolo, poi perché si
trattava di ricevere soldi per NON fare qualcosa. Alla parola soldi, infatti,
il suo cervello andò in ebollizione, e il giovane apprendista decise subito di
parlarne con i suoi amici. Chi elettricista, chi falegname, chi aiutante-cuoco,
chi cameriere. Nel gruppo, però, c’era anche un ragazzo che non lavorava. Eppure,
prendeva soldi lo stesso. Aveva una grande macchina sportiva, che gli era stata
comprata appena un anno prima, e già parlava della prossima conquista: un’Alfa
Romeo Gran Turismo, obbligatoriamente Sport. Lui, problemi di soldi non ne
aveva, anzi: si poteva tranquillamente dire che era un ragazzo per bene. Un tipo
che metteva l’onore al primo posto. Un “Don”.
FINE PRIMA PARTE
Raffaele Nappi